Convergenze…

In atto non c’è ancora niente ma in potenza non ho mai percepito come oggi queste energie di rinnovamento che risiedono in me. Sembra come se gli astri si stiano allineando e io mi stia posizionando in prima fila, pronto finalmente a brillare di luce propria. Per adesso, si tratta di una sensazione che si materializza come una siepe che protegge e mi impedisce, almeno per ora, di osservare l’infinito orizzonte di insuccessi che si staglierebbe alla mia vista.
Sembra, un po’ casualmente e un po’ intenzionalmente che questo 2021 mi stia regalando delle novità o forse è meglio parlare di preludi o abbozzi di novità.
E’ tutto in fase di progettazione. Non c’è nulla di concreto, di tangibile, visibile.
Sembra che abbia arato il mio terreno e abbia seminato alcuni semi che per germogliare necessitano del cosiddetto “colpo di freddo”.
Si capisce che l’ecosistema è tremendamente fragile e avverto la preoccupazione di non essere in grado di preservare e far germogliare queste semenze.
Sto ristrutturando ed ampliando la mia casa in campagna per renderla vivibile, dotata quindi degli spazi e dei servizi idonei. Una casa tutta per me dove potrei trasferirmi soddisfacendo il bisogno di libertà, riservatezza, indipendenza maturato negli anni a causa della convivenza forzata con tutti gli altri coinquilini presso casa mia per l’assistenza che viene offerta ai miei.
Ho cambiato ufficio. Mi sono trasferito con il mio gruppo di lavoro. Mi occupo sempre delle stesse cose anche se aumentano le responsabilità. Gestisco il lavoro di altri. Mi sento meglio.
Mi sono svincolato dalla presenza tossica di un collega invadente, responsabile di un gruppo di lavoro, che solo perché condividevamo gli stessi spazi si ergeva a responsabile dell’ufficio e parlava anche a nome mio con i capi, quando in realtà lui non ha nessun potere su di me. Che grande liberazione!
Mi sto impegnando il più possibile a rendere, anche a mie spese, l’ambiente di questo nuovo ufficio più confortevole e funzionale possibile.
Nella tragedia della mia condizione sessuale, ho sentito l’esigenza di recuperare i contatti con quella associazione che si occupa di diritti lgbtqi che qualche anno fa mi aveva accolto calorosamente. Ricordo quando in presenza di una 20ina di persone durante il mio primissimo incontro avevo raccontato della mia omosessualità, della mia verginità. Il mio primo coming out fuori dal gruppo di terapia.
Esperienza pienissima, liberatoria e gratificante.
Grazie al supporto di un socio che per me sta diventando un punto di riferimento del mio percorso di riscatto, ho partecipato qualche giorno fa ad una conference call in presenza di tante volontari dell’associazione. Alcuni che conoscevo, altri no.
Sono stato bene. Mercoledì sarà il prossimo incontro.
Ho chiamato una nutrizionista. L’ennesima della mia vita. Ho parlato chiaramente. Ho spiegato che il mio problema è il mantenimento e spesso mi abbuffo di cibo, specialmente junk food, quando sono di bassissimo umore. Mi è sembrata comprensiva, empatica. Sto aspettando che mi invii la dieta. Sono preoccupato. Come sempre ho paura di non farcela.
I cambiamenti mi terrorizzano. Mi rendono ansioso, agitato. Mi fanno tremare le gambe (nel vero senso della parola). Il mio senso di inadeguatezza è altamente marcato che mi impedisce di spiccare il volo. I cambiamenti mi assalgono, mi travolgono, mi impediscono di concentrarmi su tanti altri aspetti importanti della mia vita. Perdo la lucidità, mi manca l’aria, vado in affanno.
Ma…se si sposta il fulcro, i cambiamenti sono necessari per ristabilire un nuovo equilibrio…
Sembra che questi semi di novità convergano nell’obiettivo di rendermi una persona nuova…
Casualmente stamattina leggendo un articolo sulla grande poetessa israeliana Lea Goldberg mi sono imbattuto in una sua poesia nella quale nonostante le sue posizioni laiche lei si rivolge a Dio e lo prega affinché ogni giorno sia diverso dall’altro e il cambiamento, la crescita siano parti integranti dell’esistenza “perché non sia questo mio giorno come ieri e l’altro ancora, perché non sia per me ogni giorno un’abitudine”.
Bisogna accogliere con le braccia e i cuori spalancati ogni cambiamento dell’essere augurandoci che il tempo si rinnovi durante il suo corso rifiutando ogni assuefazione e limite di noi stessi.
Mi piace credere che non sia casuale questa lettura…

Fuori rotta – vergogna – basta

Mi sembra incredibile che passano gli anni senza che ci siano cambiamenti nella mia vita.
Lavoro, casa e pochissime uscite, finalizzate prevalentemente alla consumazione di pasti. Poi, da un anno con l’avvento del covid la mia condizione di solo e incompreso si è acuita. Le relazioni con gli altri si sono limitate a due cazzate scritte su WhatsApp.
La mia riservatezza, la paura di parlare della mia omosessualità, la mia verginità hanno eretto un muro tra me e gli altri che ogni momento cresce verso l’alto di una fila di mattoni.
La paura del confronto e del giudizio degli altri mi schiaccia. L’ansia mi assale durante la conversazione e più tento di concentrarmi sui concetti e sulle parole e più incorro negli errori.
Sono tremendamente insicuro.
L’emergenza covid mi ha scaraventato nel mio antro di Polifemo, la mia stanza, obbligato a riscrivere la mia vita tra 4 mura davanti a un computer. Per quelli riservati, introversi, codardi, affezionati alla confort zone come me la costrizione di rimanere segregati in casa è la consolazione di non dover comunicare e interagire con nessuno. Di non mettersi in discussione. Di rimanere bloccati in questo loop di logiche autoreferenziali private del confronto con gli altri.
Un mondo insignificante e invisibile a tutti, in pratica.
Anche il covid come il sonno è estremamente democratico. Una piaga che indipendentemente dalle ripercussioni sanitarie ci ha costretto a passare tanto tempo, spesso perso, a casa. Un’altra consolazione per noi amanti del tempo perso, procrastinatori, riflessivi pianificatori del non fare. Tempo perso per tutti, meno sensi di colpa, meno ansie da gestire.
“…Ricominceremo a vivere alla fine del covid…purtroppo per ora non si può fare nulla, anzi per il bene del paese dobbiamo rimanere a casa…”. Questa la frase più ripetuta e pronunciata ipocritamente dai miei simili. Troppo facile annullare la propria esistenza per una imposizione dettata dall’alto.
Che invidia sentire i progetti di vita, i traguardi degli altri. Mi vergogno di me ogni volta che provo frustrazione quando qualcuno felicemente descrive le novità della propria esistenza. Spesso fingo di essere interessato ma quanto mi piacerebbe provare la gioia della condivisione. Desidero un rapporto alla pari con l’altro: pieno, interattivo, stimolante, vivido, intenso, eccitante; finalizzato alla condivisione sincera.
Servirebbe un approccio diverso, non necessariamente un risultato per cambiare vita.
Oggi mi sento più ottimista di ieri…
Oggi ho più speranza di ieri…
Speriamo che questo ardore non sia il solito fuoco di paglia.

Il triste volto dell’evidenza

Ogni giorno vanifico il tentativo di dare forma alla mia vita.
Mi inerpico per le ripide scale senza fine della mia mente. Mi adopero ogni giorno come un matto per riempire ogni vuoto. Cerco di ottenere la massima produttività. Cerco di compiere attività utili alla mia crescita. Provo a diventare un uomo migliore o almeno un uomo con tutte le responsabilità e progettualità che lo differiscono dal ragazzino. E’ incredibile come puntualmente tutto quello che faccio sia destinato a fallire e che debba ogni volta ricominciare da capo.
In tutta questa fragilità, c’è l’unica salda certezza della passione per il cibo.
Un amore che non è nato per naturale attrazione ma per compensazione della miseria che mi circonda.
Il cibo è una costante. C’è sempre. Non ti abbandona, non ti giudica…
Noi scandiamo gli elementi della giornata tenendo conto della distribuzione dei nostri pasti. Aspettiamo la domenica per stare insieme alla famiglia mangiando i piatti preparati dalla nonna. Quando usciamo mangiamo, o usciamo per mangiare…
Il cibo è fondamentale. Per alcuni è un aspetto della vita come tanti altri, per i più insensibili il cibo è solo uno strumento di sostentamento, per noi peccatori di gola il cibo è sicurezza, consolazione, sapore della vita…
Si arriva all’esaltazione del cibo, quasi all’idolatria. Il cibo è intoccabile. E’ un dio pagano che offre la soluzione a tutti i problemi in cambio dell’aumento di peso, della perdita di forma fisica, patologie cardiache ecce cc…
Nonostante sia consapevole del male procurato dai miei pasti pantagruelici; quelli come me, non riescono a trovare sufficienti motivazioni per arrestarsi.
Provo una grande soddisfazione che è difficilmente raggiungibile in altri campi.
Ma il cibo non è clemente; è un compagno che in cambio di un piacere rapido ed effimero, prende il possesso della tua mente, stregandola e obbligandola alla totale dipendenza. E quando meno te lo aspetti ti senti più voluminoso, più lento e la semplice azione dell’allacciarsi le scarpe diventa un’erculea impresa.
E’ incredibile come riesca il cibo a ottenebrare la mente a quelli come me che hanno trovato nel cibo una esaustiva valvola di sfogo.
Ho notato, da qualche giorno che ho iniziato a punzecchiare la mia maglietta…
La maglietta si ripiega sotto il grasso, si appiccica, mi fa caldo, divento sudaticcio e allora devo sistemarla, ed è fondamentale questo punzecchiamento.
E’ una narrazione orribile e vergognosa però, immagino che tutti gli over-size sappiano di cosa sto parlando. E’ avvilente.
Arrivare a questo punto significa essere entrati in una condizione patologica nella quale lo scellerato rapporto con il cibo evidenzia l’assenza di esperienze e relazioni fondamentali per la vita di un uomo.
Molti potrebbero pensare che io sia una persona lagnosa, pigra e arrendevole ma vi assicuro che da parte mia c’è sempre stato il tentativo di cambiare qualcosa adottando la migliore dieta del momento.
Nonostante abbia ricevuto dei discreti risultati nel breve periodo, quando terminavo recuperavo repentinamente peso, diventando molto più famelico.
Per esperienza ho compreso che questa storia non sarà mai alla battute conclusive finché non avrò coraggio di affrontare delle tematiche delicate come la mia sessualità.
Per adesso riconosco di avere un problema che tenderà a peggiorare.
Prometto a me stesso di limitarmi ma so già che renderò tutto vano finché non sarò onesto con me stesso e gli altri.

Progressi difficili (o impossibili)…

Qualche mese fa scrivevo…

I progressi si sono bloccati…in ogni ambito!
Quando ho problemi a lavoro sono travolto da un vortice che mi sbatte da destra sinistra rendendomi incapace di poter amministrare il flusso regolare della mia vita.
Ho messo da parte studio, letture, scrittura, sport…in poche parole ho messo da parte la mia persona per lasciare spazio totalmente ai miei impegni lavorativi.
L’ansia del lavoro accumulato, lo stress mentale dei problemi quotidiani mi impediscono di affrontare i miei irrisolti.
Si ripresenta il timore che tutto quello che ho iniziato possa andare a puttane.
La solita paura dell’inconcludente, dell’inetto.
Inizio qualsiasi cosa sempre particolarmente stimolato, pieno di energia…e poi al primo problema abbandono tutto perché credo di non potercela fare, perché il mio tempo è impegnato altrove e diventa impossibile dedicarmi ad altro.
La mia vita è come un castello di sabbia sulla riva che viene spazzato via dalla prima onda del mare…e bisogna ricostruirlo tutto di nuovo per l’ennesima volta. Quanti castelli costruiti a metà ho realizzato e distrutto. Mai uno terminato e consolidato, mai!
Questa condizione mi pesa. Sembra senza via d’uscita. Quando sono ottimista credo che durante il giorno porterò a compimento qualcosa e poi avrò le forze mentali e la sicurezza di riuscire a raggiungere altri risultati…Quando sono pessimista invece credo che sia impossibile cambiare la mia esistenza e mi resta semplicemente accettare la mia condizione.
A volte per giustificare la mia inettitudine mi convinco che non tutti sulla Terra siano destinati ad evolversi. Ci sono tante persone che magari sono limitate e che vorrebbero cambiare ma per proprie incapacità e per la proprio indole non ci riescono e quindi devono accettarsi e andare avanti. E anche io immagino che il mio destino sia quello di vivere nella mediocrità. Rispetto agli altri mi sento tanti passi indietro. L’ansia mi assale quando converso in un gruppo di persone; magari provo a sostenere la mia opinione e ho l’impressione che la sostanza dei miei contenuti sia impalpabile perché il mio linguaggio non è per niente efficace, incisivo e mentre parlo mi concentro di più sul linguaggio che sulla sostanza, risultando impreciso in entrambi gli aspetti.
La scrittura che ho scoperto da un anno invece è un ottimo strumento di comunicazione che mi permette di esprimere al meglio un concetto senza dover essere immediati e istintivi come succede durante una conversazione.
La scrittura è l’arma sicura per tutti i timorosi, i timidi che così possono comunicare un messaggio completo e profondo usufruendo di tutto il tempo a loro disposizione.
(Non a caso preferisco scrivere nelle conversazioni attraverso strumenti di messaggistica piuttosto che inviare registrazioni vocali).
Il fatto più grave nell’ultimo periodo è che ho abbandonato da un momento all’altro, senza dare spiegazioni a nessuno gli incontri del mercoledì con quella associazione che si occupa di diritti LGBT. Mi sentivo inadeguato, inopportuno. Ho ritenuto che loro fossero un livello troppo avanzato rispetto al mio. Loro sono emancipati. Hanno vissuto il periodo della consapevolezza, dell’accettazione, della dichiarazione al mondo e si sono mostrati fieramente per quelli che sono realmente al mondo intero senza preoccuparsi delle critiche. Si trovano attualmente nella fase in cui ritengono che la loro esperienza possa essere utile agli altri e fanno associazionismo. Quando presenziavo a queste riunioni, tranne la prima in cui mi sono presentato, sono sempre rimasto in silenzio perché mi sentivo incapace di poter apportare un qualsiasi tipo di contributo alle loro battaglie sociali. Scrivo “loro battaglie” perché anche se lavorano anche per facilitare la mia di vita, per il livello di coscienza della mia omosessualità non sento ancora mie. In confronto a loro io vivo in uno stato post-embrionale. Sono quindi un neonato che ha bisogno di essere guidato in questo nuovo mondo da persone esperte e fidate. Ho bisogno di capire come riuscire a gestire nella società questo fardello.
Ho bisogno per adesso di pensare solo a me stesso, di combattere la mia battaglia di emancipazione e di riconoscimento nel mondo…tutto il resto risulta essere una perdita di tempo…

Mentire

Stavo implodendo. Vivevo con un immaginaria cintura di castità. Avevo abbandonato la sessualità.
Nascosi a tutti la mia condizione. Nessuno mi avrebbe capito e molto probabilmente sarei stato preso di mira dai bulletti e criticato dagli adulti.
Mantenere il mio segreto mi avrebbe permesso di sopravvivere. E l’istinto di sopravvivenza è il principale comportamento a cui dare ascolto in situazioni di pericolo. Io mi sentivo costantemente in pericolo. La paura di poter essere smascherato e di essere messo al patibolo era elevatissima.
Intanto provavo a mescolarmi tra gli altri cercando di non attirare particolari attenzioni. Che grande imbarazzo sentivo quando venivano fuori certi argomenti.
Nell’adolescenza i miei coetanei parlavano dei primi rapporti con l’altro sesso, molti si vantavano e ingigantivano gli eventi ed io invece dall’altra parte ammutolivo.
Era incredibile come in quella fase dell’adolescenza ogni 5 minuti tutti illustrassero le proprie esperienze, i propri desideri, le proprie perversioni…e io dall’altra parte cercassi di glissare.
Mi contraddistinsi in questo periodo per avere una personalità lunatica. In pochissimi, riuscivo a tirar fuori il meglio di me perché era più facile esprimere un parere più profondo, scambiarsi una confidenza, vivere una certa intimità; d’altro canto rimanevo in silenzio senza muovere un muscolo facciale in presenza dei grandi numeri perché si intraprendevano argomenti frivoli, superficiali, troppo leggeri per me che in realtà vivevo un dissidio interiore e non trovavo l’ambiente idoneo per potermi aprire tranquillamente.
Dovevo però giustificare i miei silenzi! Dovevo crearmi un alibi!
Dovevo trovarmi un personaggio che fosse alquanto credibile. La Chiesa in questo sarebbe stata molto di sostegno.
Nel corso degli anni molti sapevano che per me l’argomento “relazioni e sesso” rappresentasse un tabù. Incarnavo l’immagine del ragazzo timorato di Dio, pudico, riservato, che frequentava assiduamente la Chiesa la quale aveva influenzato la mia mentalità.
Per me era giusto che il primo rapporto sessuale avvenisse con la persona giusta e non si dovesse svendere il proprio corpo per il piacere dell’atto in sé. Questa visione come si sarebbe immaginato non raccoglieva il consenso di nessuno. L’adolescenza infatti è una fase della vita nella quale il tentativo di provare nuove esperienze è più forte di qualsiasi obbligo morale indotto. Molti adolescenti pensavano esclusivamente a soddisfare i propri istinti naturali senza preoccuparsi di eventuali remore morali.
Nonostante fossi considerato come un diverso (per mentalità, per ideologia) dal resto degli adolescenti, ero accettato dai coetanei e apprezzato dagli adulti. Il mio personaggio reggeva bene. Il mio segreto poteva rimanere nascosto. Mi sentivo tutto sommato tranquillo e quando avvertivo qualche pericolo, rappresentato da una platea di persone più attente, facevo molta attenzione a gestire la conversazione e per spazzare qualsiasi dubbio su di me che potesse emergere, inasprivo volutamente le mie parole diventando il più fiero paladino della moralità cristiana.
Mentivo agli altri, mentivo a me stesso.
Il personaggio stava prendendo il sopravvento sulla persona.

Sensazioni e impulsi: adolescenza

Fingevo con gli altri di essere un’altra persona però ogni giorno mi trovavo a fare i conti con me stesso.
Per me parlare di sessualità era sempre stato un tabù, non solo per il personaggio che interpretavo ma anche per la parte più profonda del mio essere.
Non accettando questa condizione provavo a concentrarmi su altro ma la mente vagava e si soffermava sempre sul solito motivo.
Che grandissima difficoltà gestire le relazioni con persone del mio stesso sesso!
Mi sono imposto sempre un grande auto-controllo. Non mi sarei mai potuto sbilanciare. C’erano degli episodi che mi imbarazzavano particolarmente. Quando per esempio si scherzava e mi trovavo a lottare a volta avvinghiato attorno al corpo di un altro amico oppure quando era il momento delle docce dopo la partita di pallone e vedevo questi corpi nudi. Ero combattuto. Quel contatto fisico, quelle visioni a volte mi turbavano. Provavo vergogna.
Non volevo, non dovevo approfittarmi di nessuno. Eppure mi sentivo come un ladro vigliacco che ruba a dei ciechi. Perché gli altri del mio stesso sesso erano ciechi (almeno all’inizio) ed io riuscivo a mescolarmi bene.
A volte rimanere indifferenti a certe situazioni era impossibile. Mi pentivo quando riuscivo a rubare un abbraccio, una carezza o semplicemente sfioravo il corpo di un mio amico. Mi sentivo sporco. Non potevo sfruttare chi mi voleva bene, si fidava di me e si comportava genuinamente. Ero estremamente confuso. Erravo e non riuscivo bene a capire i miei veri sentimenti. (Qualcosa che in età matura avrei analizzato. Forte amicizia o amore? Che disperazione…)
Non potevo dare spazio ai miei impulsi. Meglio implodere.

Io e gli altri: adolescenza

Archiviata la mia sessualità, andavo avanti concentrandomi sui miei doveri adolescenziali e coltivando le mie amicizie.
La mia vita si riassumeva in poche parole: scuola, chiesa e amici.
Nell’adolescenza i miei coetanei iniziavano ad avere i primi approcci con l’altro sesso. Le bambine che sino a qualche tempo fa erano considerate delle noiose palle al piede che giocavano con le bambole, troppo distanti dai maschietti intenti a giocare a pallone e a fare i selvaggi per strada, si trasformavano in ragazzine interessanti, oggetti del desiderio maschile. Partivano le letterine. C’erano i primi appuntamenti. L’attenzione dei ragazzini si focalizzava completamente alla ricerca del sesso femminile. Tanti erano i tentativi vani, tant’è che riuscire a ottenere un piccolo bacio era una conquista incredibile degna di essere raccontata agli altri compagni che provavano invidia. C’era un desiderio costante verso l’altro sesso, era un punzecchiamento (a volte reciproco) che però non si traduceva quasi mai in fatti concreti. In questo contesto il mio atteggiamento di completa indifferenza verso l’altro sesso poteva passare inosservato.
Quando queste mosse si tradussero in relazioni (più o meno stabili), per la prima volta, la differenza tra me e gli altri iniziò a palesarsi praticamente. Ero preoccupato, ma sapevo che il mio alibi avrebbe retto. Immaginavo che si potesse pensare che fossi un ragazzo timido e che, come succede a tanti, un giorno sarei riuscito anche io ad avvicinarmi al sesso femminile. Tra i miei amici girava l’idea che ero timido e introverso. Approfittavo del fatto che frequentassi la chiesa per ribadire il concetto cattolico di “sesso dopo il matrimonio”. Almeno temporaneamente ero riuscito nel mio obiettivo, avrei potuto procedere per qualche anno così senza essere sgamato. Qualche volta ripensavo al fatto che potesse essere soltanto una fase e che forse più tardi sarebbe sopraggiunto il “naturale” interesse per le donne. Ahimè no…che tonto!
I miei famigliari invece non fecero mai domande dirette sul mio rapporto con le ragazzine. I miei genitori, fortunatamente, mostrarono sempre un atteggiamento disinteressato. Odiavo invece il parente, amico di famiglia di turno che nella totale mancanza di argomenti di discussione tirava in ballo me chiedendomi davanti a tutti quando avrei presentato la mia ipotetica fidanzatina e avviando una conversazione tra tutti i presenti che si sentivano il diritto di esprimere un parere su questa tipa che per qualche malsano ragionamento, prima di piacere a me, avrebbe dovuto raccogliere il consenso di tutta la famiglia…Non potete immaginare il mio profondo imbarazzo. Tentavo quindi di glissare, alterando il discorso e introducendo qualche argomento di discussione più serio: malattie o decessi di parenti più o meno lontani che catturavano l’attenzione degli astanti. Tutto sommato riuscivo a dare l’idea del ragazzo riservato che come tanti a quell’età faceva le “cose” e se le teneva per sé senza comunicarle a nessuno, specialmente la propria famiglia.
In pratica riuscì a tenere sotto controllo il pensiero della gente: per i miei amici ero un ragazzo timido, poco intraprendente e un fervente cattolico; per la mia famiglia invece un ragazzo riservato in preda alla classica crisi adolescenziale.
E invece riuscivo a malapena a controllare i miei veri impulsi…