Convergenze…

In atto non c’è ancora niente ma in potenza non ho mai percepito come oggi queste energie di rinnovamento che risiedono in me. Sembra come se gli astri si stiano allineando e io mi stia posizionando in prima fila, pronto finalmente a brillare di luce propria. Per adesso, si tratta di una sensazione che si materializza come una siepe che protegge e mi impedisce, almeno per ora, di osservare l’infinito orizzonte di insuccessi che si staglierebbe alla mia vista.
Sembra, un po’ casualmente e un po’ intenzionalmente che questo 2021 mi stia regalando delle novità o forse è meglio parlare di preludi o abbozzi di novità.
E’ tutto in fase di progettazione. Non c’è nulla di concreto, di tangibile, visibile.
Sembra che abbia arato il mio terreno e abbia seminato alcuni semi che per germogliare necessitano del cosiddetto “colpo di freddo”.
Si capisce che l’ecosistema è tremendamente fragile e avverto la preoccupazione di non essere in grado di preservare e far germogliare queste semenze.
Sto ristrutturando ed ampliando la mia casa in campagna per renderla vivibile, dotata quindi degli spazi e dei servizi idonei. Una casa tutta per me dove potrei trasferirmi soddisfacendo il bisogno di libertà, riservatezza, indipendenza maturato negli anni a causa della convivenza forzata con tutti gli altri coinquilini presso casa mia per l’assistenza che viene offerta ai miei.
Ho cambiato ufficio. Mi sono trasferito con il mio gruppo di lavoro. Mi occupo sempre delle stesse cose anche se aumentano le responsabilità. Gestisco il lavoro di altri. Mi sento meglio.
Mi sono svincolato dalla presenza tossica di un collega invadente, responsabile di un gruppo di lavoro, che solo perché condividevamo gli stessi spazi si ergeva a responsabile dell’ufficio e parlava anche a nome mio con i capi, quando in realtà lui non ha nessun potere su di me. Che grande liberazione!
Mi sto impegnando il più possibile a rendere, anche a mie spese, l’ambiente di questo nuovo ufficio più confortevole e funzionale possibile.
Nella tragedia della mia condizione sessuale, ho sentito l’esigenza di recuperare i contatti con quella associazione che si occupa di diritti lgbtqi che qualche anno fa mi aveva accolto calorosamente. Ricordo quando in presenza di una 20ina di persone durante il mio primissimo incontro avevo raccontato della mia omosessualità, della mia verginità. Il mio primo coming out fuori dal gruppo di terapia.
Esperienza pienissima, liberatoria e gratificante.
Grazie al supporto di un socio che per me sta diventando un punto di riferimento del mio percorso di riscatto, ho partecipato qualche giorno fa ad una conference call in presenza di tante volontari dell’associazione. Alcuni che conoscevo, altri no.
Sono stato bene. Mercoledì sarà il prossimo incontro.
Ho chiamato una nutrizionista. L’ennesima della mia vita. Ho parlato chiaramente. Ho spiegato che il mio problema è il mantenimento e spesso mi abbuffo di cibo, specialmente junk food, quando sono di bassissimo umore. Mi è sembrata comprensiva, empatica. Sto aspettando che mi invii la dieta. Sono preoccupato. Come sempre ho paura di non farcela.
I cambiamenti mi terrorizzano. Mi rendono ansioso, agitato. Mi fanno tremare le gambe (nel vero senso della parola). Il mio senso di inadeguatezza è altamente marcato che mi impedisce di spiccare il volo. I cambiamenti mi assalgono, mi travolgono, mi impediscono di concentrarmi su tanti altri aspetti importanti della mia vita. Perdo la lucidità, mi manca l’aria, vado in affanno.
Ma…se si sposta il fulcro, i cambiamenti sono necessari per ristabilire un nuovo equilibrio…
Sembra che questi semi di novità convergano nell’obiettivo di rendermi una persona nuova…
Casualmente stamattina leggendo un articolo sulla grande poetessa israeliana Lea Goldberg mi sono imbattuto in una sua poesia nella quale nonostante le sue posizioni laiche lei si rivolge a Dio e lo prega affinché ogni giorno sia diverso dall’altro e il cambiamento, la crescita siano parti integranti dell’esistenza “perché non sia questo mio giorno come ieri e l’altro ancora, perché non sia per me ogni giorno un’abitudine”.
Bisogna accogliere con le braccia e i cuori spalancati ogni cambiamento dell’essere augurandoci che il tempo si rinnovi durante il suo corso rifiutando ogni assuefazione e limite di noi stessi.
Mi piace credere che non sia casuale questa lettura…

Fuori rotta – vergogna – basta

Mi sembra incredibile che passano gli anni senza che ci siano cambiamenti nella mia vita.
Lavoro, casa e pochissime uscite, finalizzate prevalentemente alla consumazione di pasti. Poi, da un anno con l’avvento del covid la mia condizione di solo e incompreso si è acuita. Le relazioni con gli altri si sono limitate a due cazzate scritte su WhatsApp.
La mia riservatezza, la paura di parlare della mia omosessualità, la mia verginità hanno eretto un muro tra me e gli altri che ogni momento cresce verso l’alto di una fila di mattoni.
La paura del confronto e del giudizio degli altri mi schiaccia. L’ansia mi assale durante la conversazione e più tento di concentrarmi sui concetti e sulle parole e più incorro negli errori.
Sono tremendamente insicuro.
L’emergenza covid mi ha scaraventato nel mio antro di Polifemo, la mia stanza, obbligato a riscrivere la mia vita tra 4 mura davanti a un computer. Per quelli riservati, introversi, codardi, affezionati alla confort zone come me la costrizione di rimanere segregati in casa è la consolazione di non dover comunicare e interagire con nessuno. Di non mettersi in discussione. Di rimanere bloccati in questo loop di logiche autoreferenziali private del confronto con gli altri.
Un mondo insignificante e invisibile a tutti, in pratica.
Anche il covid come il sonno è estremamente democratico. Una piaga che indipendentemente dalle ripercussioni sanitarie ci ha costretto a passare tanto tempo, spesso perso, a casa. Un’altra consolazione per noi amanti del tempo perso, procrastinatori, riflessivi pianificatori del non fare. Tempo perso per tutti, meno sensi di colpa, meno ansie da gestire.
“…Ricominceremo a vivere alla fine del covid…purtroppo per ora non si può fare nulla, anzi per il bene del paese dobbiamo rimanere a casa…”. Questa la frase più ripetuta e pronunciata ipocritamente dai miei simili. Troppo facile annullare la propria esistenza per una imposizione dettata dall’alto.
Che invidia sentire i progetti di vita, i traguardi degli altri. Mi vergogno di me ogni volta che provo frustrazione quando qualcuno felicemente descrive le novità della propria esistenza. Spesso fingo di essere interessato ma quanto mi piacerebbe provare la gioia della condivisione. Desidero un rapporto alla pari con l’altro: pieno, interattivo, stimolante, vivido, intenso, eccitante; finalizzato alla condivisione sincera.
Servirebbe un approccio diverso, non necessariamente un risultato per cambiare vita.
Oggi mi sento più ottimista di ieri…
Oggi ho più speranza di ieri…
Speriamo che questo ardore non sia il solito fuoco di paglia.

Progressi difficili (o impossibili)…

Qualche mese fa scrivevo…

I progressi si sono bloccati…in ogni ambito!
Quando ho problemi a lavoro sono travolto da un vortice che mi sbatte da destra sinistra rendendomi incapace di poter amministrare il flusso regolare della mia vita.
Ho messo da parte studio, letture, scrittura, sport…in poche parole ho messo da parte la mia persona per lasciare spazio totalmente ai miei impegni lavorativi.
L’ansia del lavoro accumulato, lo stress mentale dei problemi quotidiani mi impediscono di affrontare i miei irrisolti.
Si ripresenta il timore che tutto quello che ho iniziato possa andare a puttane.
La solita paura dell’inconcludente, dell’inetto.
Inizio qualsiasi cosa sempre particolarmente stimolato, pieno di energia…e poi al primo problema abbandono tutto perché credo di non potercela fare, perché il mio tempo è impegnato altrove e diventa impossibile dedicarmi ad altro.
La mia vita è come un castello di sabbia sulla riva che viene spazzato via dalla prima onda del mare…e bisogna ricostruirlo tutto di nuovo per l’ennesima volta. Quanti castelli costruiti a metà ho realizzato e distrutto. Mai uno terminato e consolidato, mai!
Questa condizione mi pesa. Sembra senza via d’uscita. Quando sono ottimista credo che durante il giorno porterò a compimento qualcosa e poi avrò le forze mentali e la sicurezza di riuscire a raggiungere altri risultati…Quando sono pessimista invece credo che sia impossibile cambiare la mia esistenza e mi resta semplicemente accettare la mia condizione.
A volte per giustificare la mia inettitudine mi convinco che non tutti sulla Terra siano destinati ad evolversi. Ci sono tante persone che magari sono limitate e che vorrebbero cambiare ma per proprie incapacità e per la proprio indole non ci riescono e quindi devono accettarsi e andare avanti. E anche io immagino che il mio destino sia quello di vivere nella mediocrità. Rispetto agli altri mi sento tanti passi indietro. L’ansia mi assale quando converso in un gruppo di persone; magari provo a sostenere la mia opinione e ho l’impressione che la sostanza dei miei contenuti sia impalpabile perché il mio linguaggio non è per niente efficace, incisivo e mentre parlo mi concentro di più sul linguaggio che sulla sostanza, risultando impreciso in entrambi gli aspetti.
La scrittura che ho scoperto da un anno invece è un ottimo strumento di comunicazione che mi permette di esprimere al meglio un concetto senza dover essere immediati e istintivi come succede durante una conversazione.
La scrittura è l’arma sicura per tutti i timorosi, i timidi che così possono comunicare un messaggio completo e profondo usufruendo di tutto il tempo a loro disposizione.
(Non a caso preferisco scrivere nelle conversazioni attraverso strumenti di messaggistica piuttosto che inviare registrazioni vocali).
Il fatto più grave nell’ultimo periodo è che ho abbandonato da un momento all’altro, senza dare spiegazioni a nessuno gli incontri del mercoledì con quella associazione che si occupa di diritti LGBT. Mi sentivo inadeguato, inopportuno. Ho ritenuto che loro fossero un livello troppo avanzato rispetto al mio. Loro sono emancipati. Hanno vissuto il periodo della consapevolezza, dell’accettazione, della dichiarazione al mondo e si sono mostrati fieramente per quelli che sono realmente al mondo intero senza preoccuparsi delle critiche. Si trovano attualmente nella fase in cui ritengono che la loro esperienza possa essere utile agli altri e fanno associazionismo. Quando presenziavo a queste riunioni, tranne la prima in cui mi sono presentato, sono sempre rimasto in silenzio perché mi sentivo incapace di poter apportare un qualsiasi tipo di contributo alle loro battaglie sociali. Scrivo “loro battaglie” perché anche se lavorano anche per facilitare la mia di vita, per il livello di coscienza della mia omosessualità non sento ancora mie. In confronto a loro io vivo in uno stato post-embrionale. Sono quindi un neonato che ha bisogno di essere guidato in questo nuovo mondo da persone esperte e fidate. Ho bisogno di capire come riuscire a gestire nella società questo fardello.
Ho bisogno per adesso di pensare solo a me stesso, di combattere la mia battaglia di emancipazione e di riconoscimento nel mondo…tutto il resto risulta essere una perdita di tempo…

Segreto di pulcinella…

Io credo che molti lo sappiano, da sempre.
Sono in pochissimi (quelli che non mi conoscono affatto) che mentre parlano con me fanno battute che riguardano ragazze.
I miei compagni storici sono stati abituati a non vedermi in compagnia di nessuno. Sanno che raramente ho fatto quei commenti volgari che solitamente caratterizzano l’adolescenza di un uomo e hanno sempre creduto che io non avessi mai avuto rapporti con delle ragazze.
Le loro impressioni erano fondate. Tranne le fidanzatine delle scuole elementari, l’unico rapporto che avessi mai instaurato con le ragazze era stato di semplice amicizia.
Con i miei amici coetanei non era facile durante la gioventù mantenere nascosto il mio segreto. Ho sempre nutrito nei confronti di alcuni di loro un profondo amore fraterno perché probabilmente non potendo manifestare la mia sessualità avevo concentrato tutti i miei sforzi sull’amicizia col tentativo vano e ridicolo di primeggiare in fantomatiche classifiche di preferenza dell’amicizia.
Quanti errori ho commesso. Invece avrei dovuto vivere alla luce del sole, essere diretto. Mi accorgo solo adesso, trentenne, che sarebbe stato utile confidarmi con un amico. Avrei evitato tante ansie e delusioni.
Tra i miei conoscenti non mancano quelli più diretti, e anche più bastardi, che durante le uscite di gruppo mi domandando: “ma perché non ti dichiari?!?” “Fallo, siamo nel 2019!”. Questi sono quelli totalmente insensibili e spavaldi che non vedono l’ora di mettermi in difficoltà per fare i “fenomeni” davanti agli altri incalzandomi con domande inopportune. In questo comportamento è assente l’interesse che potrebbero avere dei compagni sinceri di aiutarmi a mostrare la Verità per alleggerirmi dal peso delle preoccupazioni. A queste prevaricazioni subito assumevo una espressione seria in volto e rispondevo mandando a quel paese il mio aguzzino di turno.
L’ultima volta invece ho provato ad affrontare il discorso e ho detto “Quale problema ci sarebbe?” “E’ così fondamentale per voi sapere il mio orientamento”? “Questo cambierebbe il nostro rapporto?”. Le mie domande avevano sorpreso tutti, era la prima volta che reagivo. Era la prima volta che non escludevo il fatto che potessi essere gay. La questione era diventata importante e quelli che volevano mettermi in difficoltà si erano zittiti, come un po’ tutti, prima che si cambiasse definitivamente argomento di discussione.
E’ successo anche che un mio caro amico durante un viaggio mi chiedesse un po’ per scherzo, un po’ perché avrebbe voluto fare breccia nella mia corazza: “Tu perché non ti fidanzi…perché non stai con nessuno?”; In quel momento non provai nulla. Nemmeno imbarazzo. Forse un po’ di tristezza mista a freddezza. Non mi sarei voluto trovare in quella situazione. Non per quella domanda, ma per la mia condizione. Quella domanda nascondeva delle insidie…voleva parare altrove…
In un secondo pensai: “Dannazione !!! Avrei voluto una vita facile, e invece sono costretto a ricevere questo tipo di domande spiazzanti e sono ormai da tempo diventate argomento di conversazione le mie incapacità relazionali…che strazio”
Era piombato il silenzio. L’atmosfera era omertosa, e io rimasi in silenzio, imperturbabile; sembrava che tutti si aspettassero una mia mossa ma persi l’occasione di fare coming out. Quella uscita per certi versi disgraziata del mio amico si stava trasformando in una opportunità irripetibile. Ma così non fu…
Mi chiusi in me stesso e subito dopo prese la parola il mio migliore amico criticando la domanda dell’altro amico e dicendo che se io stavo bene così era giusto che vivessi in quel modo (cioè da solo perché questa è la mia condizione). Il discorso si concluse…
Che confusione mi circonda e che tristezza sapere che sia fondamentale che questo lato del mio essere debba necessariamente emergere…
Ma perché è così importante per il mondo il mio orientamento sessuale???

Outing: Sì? No?

Mi capita di pensare sulla utilità di fare outing…
Credo che l’orientamento sessuale di un individuo sia esclusivamente una caratteristica che non dovrebbe in nessun modo determinare l’accettazione o meno di qualcuno nella società.
Io immagino una relazione omosessuale come una relazione eterosessuale: un rapporto vissuto serenamente, naturalmente senza l’intrusione di chi si sente legittimato a esprimere necessariamente un giudizio. Così dovrebbe essere…perciò l’outing è un fenomeno che andrebbe a porre risonanza a un qualcosa che non dovrebbe essere un argomento di discussione…E’ un’altra porzione di realtà, come tante altre, che esiste e si accetta senza dover essere giudicata.
Scrivo “giudicata” perché chiunque si sente in dovere di esprimere un parere sul tema dell’omosessualità e di entrare quindi in questo dibattito molto complesso e disordinato.
Io credo se ne parli troppo…e molto male. Bisognerebbe abbassare i toni, chiarire l’argomento e veicolare meglio il messaggio che spesso in certi eventi come il gay pride non giunge correttamente soprattutto tra le fasce sociali meno scolarizzate.
Purtroppo il mio punto di vista si staglierebbe in quel mondo utopico dove l’umanità della assoluta tolleranza tutto accetta, nulla critica e si emoziona davanti alla straordinaria varietà della natura.
Questo mondo non esiste, e io sono costretto a fare outing prima che qualcuno lo capisca, prima che ci siano delle prove, prima che si diffonda la notizia. Devo evitare che ci siano degli equivoci e delle errate interpretazioni. Per tutelare la mia persona dagli occhi indiscreti del paese, dallo scherno dei balordi, dalle risa dei ragazzini devo chiarire la mia posizione. Devo rendere pubblico un aspetto della mia vita privata.
Devo dichiararmi!
Mi chiedo come sarà: contatterò magari qualche amico, gli dirò che non avrò mai una moglie (forse capirà…) e lui mi chiederà probabilmente se potrà fare davanti a me battute sui froci e forse sarà felice per me.
Forse gli amici di una vita mi accetteranno senza indugi dimostrandomi solidarietà.
E gli altri? Famiglia, educandi, ancora amici e conoscenti…???
Sono preoccupato per le reazioni a catena che potrei causare…L’imprevedibilità e la complessità del meccanismo che potrei avviare fa naufragare la mia intenzione di fare outing.
D’altro canto percepisco l’impotenza di fronte alla caccia al gay perpetrata dalla nostra società che indaga sulle vite e attende il momento del coming out che è diventato ormai un evento mediatico di diffusione anche mondiale.
Vedo gente che piange, che si dispera; chi lo racconta ai propri amici, ai propri genitori. Con la stessa enfasi di uno che comunica di avere una malattia incurabile infettiva che per evitare il contagio mondiale ha l’obbligo di dover avvertire tutti oppure con lo stesso atteggiamento di uno che mosso dai sensi di colpa ammette di aver fatto una strage.
E’ incredibile come sia radicata in noi la cultura del senso di colpa ogni qualvolta palesiamo nella nostra individualità qualcosa che non sia “naturale” e che di conseguenza si senta il dovere di chiedere per forza scusa a qualcuno.
Il coming out per come lo interpreto io dovrebbe essere un momento di condivisione sentimentalmente elevato da vivere con le poche persone veramente importanti degne dell’onore di essere partecipi di un momento così intimo.
Così dovrebbe essere…e forse così sarà per me…

Spirale di inerzia

Il tempo passava inesorabilmente ed io ero entrato in una spirale di eventi che determinavano la mia vita.
Andavo avanti per inerzia mosso dall’apparente stabilità basata sulla finzione che ero riuscito più o meno consapevolmente a creare.
La passione per le cose nuove si trasformava in fallimento nel lungo periodo e puntualmente mi trovavo da solo con i miei punti fermi: la chiesa, la famiglia e gli amici, per i quali era naturale il mio sacrificio.
Sembrava che avessi accettato la mia condizione di inetto e che la mia vita fosse votata esclusivamente al bene dell’altro. I miei insuccessi minavano la mia autostima e l’imprescindibilità dagli altri diventava sempre più netta.
Nello specifico abbandonai dopo due anni la mia facoltà perché non mi piaceva e non riuscivo a concentrarmi durante lo studio. Ricoprivo sempre il ruolo dell’educatore ma la mia dedizione non era più la stessa. E così con tutto. Non ero lucido. Facevo valutazioni errate. Non riuscivo a raggiungere nessun obiettivo.
Vivevo tra le nuvole e spesso la mia mente vagava e mi ritrovavo a fare i conti con la mia condizione irrisolta che mi costringeva ad abbandonare la sicurezza del mio mondo.
Mi sentivo spesso incompreso e passivamente accettavo quello che la vita mi concedeva. Come sarebbe stato mai possibile in questa immobilità manifestare la mia vera persona senza pagarne le conseguenze?
Ero troppo debole e facilmente influenzabile dalle situazioni. Avrei avuto bisogno di qualcuno che mi avesse preso per mano per insegnarmi lezioni di vita.
Proprio quando almeno temporalmente avrei dovuto iniziare a prendermi cura di me stesso emancipandomi ho dovuto fronteggiare i miei drammi più grandi: le malattie dei miei genitori.
Non riuscì nemmeno a tentare di far sentire la mia voce che fui subito rigettato nel ruolo del buon samaritano. Dovevo essere figlio, in un certo senso anche padre.
Tutto il resto poteva, anzi doveva per l’ennesima volta aspettare…

Omosessualità: OMS, Ulrichs e Kertbeny

In una società omofoba, dalla memoria corta, ignorante come la nostra è doveroso raccontare alcuni fatti fondamentali che ci permettono di inquadrare meglio il termine “omosessualità”.
L’omosessualità, ancora oggi, è vista da molti come una malattia. Una piaga che deve essere curata o addirittura estirpata, come succede in alcuni paesi dove l’unione tra persone dello stesso sesso è totalmente vietata e punita addirittura con la pena di morte.
Oggi è illegale prevalentemente in molti paesi africani e alcuni asiatici ma non mancano episodi di razzismo da parte della società civile nei paese cosiddetti “occidentali”. La corrente ultraconservatrice che globalmente sta attraversando tutti i principali paesi del mondo pone attenzione sulla tutela della famiglia “naturale” senza lasciare spazio ad altre possibilità. I diritti dell’uomo, specialmente quelli legati alla libertà sessuale vengono puntualmente calpestati dall’intervento del politicante di turno impegnato a ottenere consenso indirizzando l’odio della società verso il diverso, responsabile della degenerazione della civiltà.
Qualche settimana fa scrivevo della giornata della famiglia che per l’appunto ha raccolto una accozzaglia di reazionari, omofobi, ultra-cattolici che con il patrocinio del governo italiano hanno proposto i loro modelli di vita anacronistici seminando odio verso il diverso.
L’omosessualità ha fatto nel corso del tempo passi da giganti per ottenere la giusta considerazione. Soltanto nel 1990 l’OMS ha eliminato l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali e ha ridefinito il concetto introducendo il termine “orientamento”. Quindi l’omosessualità rappresenta semplicemente l’orientamento sessuale verso individui dello stesso sesso.
Il termine omosessualità fu coniato nel 1869 dal letterato ungherese Karl Maria Kertbeny in una pubblicazione nella quale criticava l’introduzione di leggi che punivano atti sessuali fra due persone di sesso maschile da parte del Ministero della giustizia prussiano. Kertbeny riuscì quindi nell’intento di donare una neutralità a un qualcosa che sino a quel momento era riconosciuto con i termini: sodomia, pederastia che avevano assolutamente una totale accezione negativa.
Kertbeny introdusse anche termini come bisessualità e normosessualità.
Lui per evitare che ci fossero ripercussioni sulla sua persona utilizzò sempre uno pseudonimo e mai si dichiarò ufficialmente.
Prima di lui nel 1864, il pensatore tedesco Karl Ulrichs che alla fine del 1800 è stato un pioniere del movimento omosessuale europeo coniò il termine Uranismo derivato dall’epiteto dato ad Afrodite, protettrice degli amori omosessuali, cioè Urania che significa paradisiaca, celestiale.
Ulrichs sosteneva che l’uranismo fosse il “terzo sesso”, che dipendeva da caratteristiche innate, da fattori biologici, pertanto non doveva e poteva essere discriminato. Questo termine fu comunque sostituito dal più generico omosessualità che non aveva la pretesa di ricercare e analizzare le cause del comportamento sessuale umano.
La figura di Ulricks è molto interessante perché a differenza di Kertbeny lui fece coming out nonostante il clima altamente discriminatorio dell’epoca.
Negli ultimi anni della sua vita scriveva: «Fino al momento della mia morte guarderò con orgoglio indietro a quel giorno, 29 agosto del 1867, quando trovai il coraggio di lottare faccia a faccia contro lo spettro di un’antica idra irata (OMOFOBIA) che da tempo immemorabile stava iniettando veleno dentro di me e dentro gli uomini della mia stessa natura. Parecchi sono stati spinti al suicidio perché tutta la loro gioia di vivere era sciupata. Infatti, sono orgoglioso di aver trovato il coraggio di assestare a questa idra il colpo iniziale del pubblico disprezzo.»
Nel momento della sua dichiarazione pubblica si rivolgeva al congresso dei giuristi di Monaco di Baviera per sollecitare l’abrogazione delle leggi contro gli omosessuali venendo zittito dalle loro grida perché considerato immorale.
Le parole scritte da Ulrichs riecheggiano nella testa e fungono da monito per chiunque di noi non riesce a combattere all’interno dello schema sociale in cui è inquadrato senza quindi riuscire ad emergere.
Ulrichs non è stato solo un teorico ma un eroe. Ha affermato la sua condizione. Ha rivendicato i suoi diritti. Il coming out di Ulrichs rappresenta un’impresa che non può essere paragonabile a nessun’altro.
Se negli ambienti intellettuali dell’epoca si intrattenevano anche dei rapporti omosessuali mai nessuno si era permesso di uscire allo scoperto. “Non parlare” significava “non esistere”. Invece Ulrichs fece da apri fila a tanti altri uomini spaventati giustamente dalle ripercussioni giudiziarie e dal pensiero della gente.
Prendendo Ulrichs come fonte di ispirazione, abbiamo l’obbligo di trovare il coraggio e il sostegno per distruggere questa antica idra irata!