Natale…

Fin da quando ero piccolo attendevo che arrivasse il periodo natalizio – periodo perché in fin dei conti è l’attesa del Natale che crea più piacere del Natale stesso che una volta arrivato genera tristezza e nostalgia – perché mi piaceva l’idea che ci si scambiassero dei doni, che tutta la famiglia fosse riunita e che tutti gli attriti sembrassero magicamente appianati. Un periodo in cui c’era la tradizione di fare il presepe, l’albero e di predisporre la casa con gli addobbi e luci natalizie. Il 16 dicembre di ogni anno arrivava la novena che preparava noi adolescenti spiritualmente all’avvento del Signore caratterizzata dalla sveglia la mattina presto, le luci soffuse, la chiesa gremita e la cioccolata calda prima di andare a scuola. C’era il cibo, tanto cibo, anzi troppo…piatti deliziosi preparati dalle sapienti mani di mia zia in collaborazione con mia madre. Le giocate a carte, le tombolate…le risate provocate dagli impacci dei nonni…E poi ciò che rendeva ancora più speciale questo periodo erano tutti i giorni di vacanze che ti permettevano di passare tanto tempo con gli amici e prendere un periodo di pausa dalla scuola.
Questo scenario però non esiste più…
Il tempo è passato e la mia famiglia è invecchiata. E’ giunta la malattia che ha distrutto la serenità. Il piacere di stare insieme si è trasformato in consuetudine.
Le cose hanno assunto un valore differente. Adesso il Natale in famiglia rappresenta il tentativo di provare a incollare i pezzi di un vaso rotto da tempo. I pranzi, le cene sono sempre abbondanti, i manicaretti domestici hanno lasciato lo spazio a piatti acquistati altrove. La cura, l’amore per la cucina, la realizzazione di un buon cibo come atto d’amore è svanita. C’è la ricerca del semplice e del veloce. Manca la passione. Ci si trova a tavola così, per caso. Si mangia, si dice qualche scemenza. Ognuno matura la consapevolezza che avrebbe preferito passare quel momento nella tranquillità della propria solitudine. Gli avanzi sono esageratamente tanti; a significare che si voleva colmare il vuoto dell’anima con il cibo. La qualità non esiste in nessun contesto. Ognuno non vede l’ora che tutto finisca al più presto. Non si gioca a carte, siamo troppo pochi. I nonni non ci sono più. La novena ha perso interesse. Mi sono allontanato dalla chiesa e la mia fede vacilla.
Tutto è cambiato e piano piano sto imparando ad accettarlo…
Da piccolo era tutto più semplice, adesso la mia vista è più nitida. Tutto è più chiaro.
E nonostante sia dura la realtà preferisco non avere un velo in volto che maschera le brutture del mio mondo.
Se accettare la propria realtà, superando il confronto col passato è fattibile, è molto più difficile quando interagiamo con gli altri. Con i Natali degli altri.
Ci sono famiglie che sono riuscite a perpetrare la tradizione nei tempi. Hanno risposto alla morte con la vita. Hanno tralasciato gli egoismi personali per il bene della comunità. Hanno insomma mantenuto il piacere di condividere insieme questo splendido periodo. Certamente tutto è sempre molto condito dalle convenzioni sociali, anzi familiari ma è tutto deliziosamente genuino.
Non c’è posto per me nei Natali degli altri come è giusto che sia ma è triste vivere in solitudine questo periodo e mi resta rimanere in attesa degli altri, tra un atto di condivisione familiare e un altro.

Mia madre…

Io non ero stato “pianificato”, come probabilmente ho già scritto. I miei non avrebbero voluto un altro figlio, però quando seppero della mia “presenza” decisero di proseguire la gravidanza. E dal giorno della mia nascita sento di aver instaurato un legame viscerale con mia madre.
A casa mia ho passato parecchio tempo con le donne che ho sempre rispettato, stimato e che a mio parere riuscivano nell’arduo compito di mantenere l’equilibrio all’interno della famiglia. Mio padre era spesso fuori casa, occupato con il lavoro. La mia infanzia è stata felice e protetta dalle donne: da mia madre, dalle mie zie. Ero l’ultimo dei cugini, il più piccolo di una famiglia (quella di mio padre) già un po’ vecchia, nella quale i primo dei miei pro-cugini (figli dei miei cugini) e io abbiamo una distanza di pochi anni. Mi ricordo di essere stato parecchio coccolato. Ero una sorta di mascotte per la mia famiglia e avevo un occhio di riguardo da parte di tutti perché portavo il nome di mio nonno. Insomma mi sentivo protetto e amato da tutti.
Mia madre che aveva lasciato il lavoro si occupava della mia crescita e di quella di mia sorella (più grande di me) e curava le relazioni con il resto della famiglia. Lavoro non facile assolutamente. Le discussioni spesso futili non mancavano.
Mia madre si occupava anche di mia nonna malata e dopo la sua morte di mio nonno rimasto vedovo e poco incline a svolgere le faccende domestiche nella sua piccola dimora.
La nostra è stata sempre una famiglia travagliata che però ha sempre trovato una soluzione alle difficoltà.
Ho stampato nella mia memoria il ricordo di mia madre che curatissima, profumata, truccata, vestita casual con jeans, scarpe ballerine, camicetta bianca, borsetta, occhiali da sole e una chioma fulva-bruna fluente mi accompagnava a scuola (spesso in ritardo perché doveva essere ineccepibile) con la sua 500 bianca. Mia madre era bellissima. Lei nonostante non avesse avuto mai avuto la possibilità di studiare, era una donna emancipata. Di umili origini si era sempre prodigata per la sua famiglia. Raffinata, elegante, introversa, silenziosa ha sempre dimostrato il suo amore verso di me e al tempo stesso come un sergente di ferro faceva rispettare le sue rigide regole in casa dove mi sentivo un po’ come un soldatino che prima o poi sarebbe stato richiamato a rapporto…Da bambino certe cose non si capiscono ma ora ringrazio tanto mia madre per l’educazione che ci ha impartito e del rigore che mi ha trasmesso e che riverso ovunque (croce e delizia della mia esistenza)…
Quante volte mi sono chiesto come fosse possibile che da genitori così belli sia nato un bruttino come me. I miei magri e modaioli (in alcune foto degli anni 80 sembrerebbero una coppia di attori hollywoodiani) da una parte… e io invece grassottello e nerd dall’altra…Bah!!!
Ogni volta che abbracciavo mia madre mi rasserenavo. Il suo calore mi avvolgeva…mi sentivo protetto e sicuro dallo schifo del mondo esterno.
Ho sempre ricercato mia madre. E lei cercava me…Ero il suo ometto e quando sono diventato grande ero il suo omone…
Io amo mia madre. E’ sempre stata l’unica vera donna della mia vita.
Poi tutto è cambiato…con l’avvento della malattia…una dannata malattia neurologica (tanto per cambiare)…
Ogni giorno da 15 anni lei diventa sempre di più la sua malattia e perde un tratto della sua personalità.
Come per mio padre, ho sentito l’obbligo di rimboccarmi le maniche per garantire il meglio anche per lei.
Ora rimane il suo amore che è immutabile, rimane intatto e vince sulla malattia.
I suoi sentimenti non sono cambiati affatto, cambia solo il suo modo di manifestarli.
Il suo carattere è mutato…si è semplificato. A sprazzi il suo atteggiamento mi ricorda lei prima della malattia, come se intervenisse la lucidità in lei con l’intento di rendersi riconoscibile ai suoi cari.
Lei non è più come prima. Adesso è una bambina nel corpo di una 70enne. Io nonostante tutto non perdo il momento di rivendicare il mio ruolo di figlio. I ruoli non si sono invertiti. Anche se i miei necessitano di me io rimango il loro figlio.
Ascolto e rispetto le loro parole. Nonostante tutto sono sempre il mio punto di riferimento.
Io e mia madre siamo legati da una relazione indissolubile. Lei si fida di me, mi dà ascolto. E’ come se nonostante tutto ci sia rimasto il linguaggio dell’amore che ci permette di comunicare.
Io sono e sarò per sempre il suo omone.