In atto non c’è ancora niente ma in potenza non ho mai percepito come oggi queste energie di rinnovamento che risiedono in me. Sembra come se gli astri si stiano allineando e io mi stia posizionando in prima fila, pronto finalmente a brillare di luce propria. Per adesso, si tratta di una sensazione che si materializza come una siepe che protegge e mi impedisce, almeno per ora, di osservare l’infinito orizzonte di insuccessi che si staglierebbe alla mia vista.
Sembra, un po’ casualmente e un po’ intenzionalmente che questo 2021 mi stia regalando delle novità o forse è meglio parlare di preludi o abbozzi di novità.
E’ tutto in fase di progettazione. Non c’è nulla di concreto, di tangibile, visibile.
Sembra che abbia arato il mio terreno e abbia seminato alcuni semi che per germogliare necessitano del cosiddetto “colpo di freddo”.
Si capisce che l’ecosistema è tremendamente fragile e avverto la preoccupazione di non essere in grado di preservare e far germogliare queste semenze.
Sto ristrutturando ed ampliando la mia casa in campagna per renderla vivibile, dotata quindi degli spazi e dei servizi idonei. Una casa tutta per me dove potrei trasferirmi soddisfacendo il bisogno di libertà, riservatezza, indipendenza maturato negli anni a causa della convivenza forzata con tutti gli altri coinquilini presso casa mia per l’assistenza che viene offerta ai miei.
Ho cambiato ufficio. Mi sono trasferito con il mio gruppo di lavoro. Mi occupo sempre delle stesse cose anche se aumentano le responsabilità. Gestisco il lavoro di altri. Mi sento meglio.
Mi sono svincolato dalla presenza tossica di un collega invadente, responsabile di un gruppo di lavoro, che solo perché condividevamo gli stessi spazi si ergeva a responsabile dell’ufficio e parlava anche a nome mio con i capi, quando in realtà lui non ha nessun potere su di me. Che grande liberazione!
Mi sto impegnando il più possibile a rendere, anche a mie spese, l’ambiente di questo nuovo ufficio più confortevole e funzionale possibile.
Nella tragedia della mia condizione sessuale, ho sentito l’esigenza di recuperare i contatti con quella associazione che si occupa di diritti lgbtqi che qualche anno fa mi aveva accolto calorosamente. Ricordo quando in presenza di una 20ina di persone durante il mio primissimo incontro avevo raccontato della mia omosessualità, della mia verginità. Il mio primo coming out fuori dal gruppo di terapia.
Esperienza pienissima, liberatoria e gratificante.
Grazie al supporto di un socio che per me sta diventando un punto di riferimento del mio percorso di riscatto, ho partecipato qualche giorno fa ad una conference call in presenza di tante volontari dell’associazione. Alcuni che conoscevo, altri no.
Sono stato bene. Mercoledì sarà il prossimo incontro.
Ho chiamato una nutrizionista. L’ennesima della mia vita. Ho parlato chiaramente. Ho spiegato che il mio problema è il mantenimento e spesso mi abbuffo di cibo, specialmente junk food, quando sono di bassissimo umore. Mi è sembrata comprensiva, empatica. Sto aspettando che mi invii la dieta. Sono preoccupato. Come sempre ho paura di non farcela.
I cambiamenti mi terrorizzano. Mi rendono ansioso, agitato. Mi fanno tremare le gambe (nel vero senso della parola). Il mio senso di inadeguatezza è altamente marcato che mi impedisce di spiccare il volo. I cambiamenti mi assalgono, mi travolgono, mi impediscono di concentrarmi su tanti altri aspetti importanti della mia vita. Perdo la lucidità, mi manca l’aria, vado in affanno.
Ma…se si sposta il fulcro, i cambiamenti sono necessari per ristabilire un nuovo equilibrio…
Sembra che questi semi di novità convergano nell’obiettivo di rendermi una persona nuova…
Casualmente stamattina leggendo un articolo sulla grande poetessa israeliana Lea Goldberg mi sono imbattuto in una sua poesia nella quale nonostante le sue posizioni laiche lei si rivolge a Dio e lo prega affinché ogni giorno sia diverso dall’altro e il cambiamento, la crescita siano parti integranti dell’esistenza “perché non sia questo mio giorno come ieri e l’altro ancora, perché non sia per me ogni giorno un’abitudine”.
Bisogna accogliere con le braccia e i cuori spalancati ogni cambiamento dell’essere augurandoci che il tempo si rinnovi durante il suo corso rifiutando ogni assuefazione e limite di noi stessi.
Mi piace credere che non sia casuale questa lettura…
Categoria: paura
Fuori rotta – vergogna – basta
Mi sembra incredibile che passano gli anni senza che ci siano cambiamenti nella mia vita.
Lavoro, casa e pochissime uscite, finalizzate prevalentemente alla consumazione di pasti. Poi, da un anno con l’avvento del covid la mia condizione di solo e incompreso si è acuita. Le relazioni con gli altri si sono limitate a due cazzate scritte su WhatsApp.
La mia riservatezza, la paura di parlare della mia omosessualità, la mia verginità hanno eretto un muro tra me e gli altri che ogni momento cresce verso l’alto di una fila di mattoni.
La paura del confronto e del giudizio degli altri mi schiaccia. L’ansia mi assale durante la conversazione e più tento di concentrarmi sui concetti e sulle parole e più incorro negli errori.
Sono tremendamente insicuro.
L’emergenza covid mi ha scaraventato nel mio antro di Polifemo, la mia stanza, obbligato a riscrivere la mia vita tra 4 mura davanti a un computer. Per quelli riservati, introversi, codardi, affezionati alla confort zone come me la costrizione di rimanere segregati in casa è la consolazione di non dover comunicare e interagire con nessuno. Di non mettersi in discussione. Di rimanere bloccati in questo loop di logiche autoreferenziali private del confronto con gli altri.
Un mondo insignificante e invisibile a tutti, in pratica.
Anche il covid come il sonno è estremamente democratico. Una piaga che indipendentemente dalle ripercussioni sanitarie ci ha costretto a passare tanto tempo, spesso perso, a casa. Un’altra consolazione per noi amanti del tempo perso, procrastinatori, riflessivi pianificatori del non fare. Tempo perso per tutti, meno sensi di colpa, meno ansie da gestire.
“…Ricominceremo a vivere alla fine del covid…purtroppo per ora non si può fare nulla, anzi per il bene del paese dobbiamo rimanere a casa…”. Questa la frase più ripetuta e pronunciata ipocritamente dai miei simili. Troppo facile annullare la propria esistenza per una imposizione dettata dall’alto.
Che invidia sentire i progetti di vita, i traguardi degli altri. Mi vergogno di me ogni volta che provo frustrazione quando qualcuno felicemente descrive le novità della propria esistenza. Spesso fingo di essere interessato ma quanto mi piacerebbe provare la gioia della condivisione. Desidero un rapporto alla pari con l’altro: pieno, interattivo, stimolante, vivido, intenso, eccitante; finalizzato alla condivisione sincera.
Servirebbe un approccio diverso, non necessariamente un risultato per cambiare vita.
Oggi mi sento più ottimista di ieri…
Oggi ho più speranza di ieri…
Speriamo che questo ardore non sia il solito fuoco di paglia.
La liberazione
Scrivo un po’ a caso. Inizio con un argomento, poi sospendo e ne incomincio un altro.
Questo capitolo della mia vita si riferisce all’estate dell’anno scorso.
Era domenica. Passavo il tempo a casa senza fare nulla di particolare.
Da giorni pensavo costantemente a quell’associazione lgbti consigliata da un amico. Quante volte mi ero imbattuto nella loro pagina Facebook, a leggere i loro post, e osservare i loro eventi, senza riuscire mai a fare nulla. Nessun like, nessun intervento. Ero un fantasma che fluttuava su di loro attento a ogni particolare o una sorta di stalker che bramava di avere una intima relazione con l’associazione…
Fatto sta che non avrei potuto palesarmi pubblicamente mettendo un “mi piace” all’associazione perché altrimenti avrei attirato l’attenzione dei miei “amici” di Facebook che avrebbero finalmente avuto l’ultimo pezzo di puzzle per confermare i loro dubbi sul mio orientamento: argomento di notevole interesse per molti miei conoscenti. Sono rimasto in questo limbo per circa un anno. Da quando mi avevano parlato di questa associazione sapevo che sarebbe stata utile per la mia emancipazione, per la mia apertura.
Tutto sarebbe dovuto partire da lì. La mia nuova vita sarebbe dovuta iniziare una volta che fossi riuscito a instaurare un contatto. Così immaginavo come sarebbero andate le cose e al tempo stesso credevo che questo episodio avrebbe avuto solo un valore onirico e che per definizione sarebbe rimasto come tale nelle mia testa senza mai concretizzarsi.
In quella domenica insensata di mattina tra un caffè e una tisana decisi di sparare finalmente la mia cartuccia. Veloce e indolore. Così doveva essere. Avevo mandato un messaggio all’associazione, una breve presentazione con una richiesta di aiuto…io stesso non ci credevo…ero turbato, spaventato…immaginavo i tipi dell’associazione che pensavano di sto sfigato che per 32 anni aveva represso la sua vera natura…Ero molto preoccupato…Dopo 1 secondo mi ero già pentito…
Che cavolo avevo fatto ?!?
Non potevo stare un altro giorno tranquillo nella mia comfort zone ?!?
Intanto erano passati alcuni giorni e nessuno mi rispondeva. Provavo sempre più imbarazzo. Un giorno però mi arrivò una notifica su Facebook. Oh cazzo!!!!!!!!!
E ora???? Mi avevano risposto…Era un ragazzo, un componente dell’associazione che mi aveva scritto mostrandomi una certa solidarietà. Abbiamo iniziato a scriverci e poi abbiamo fissato un appuntamento presso la loro sede.
Il giorno prima purtroppo il ragazzo aveva avuto la febbre e lui mi mise in contatto con un altro del direttivo. Il giorno dell’appuntamento ero molto emozionato. Non sapevo cosa dire e chi mi sarei trovato di fronte. Avevo paura. Come sempre la mente di fronte alle novità ci crea dei cattivi scherzi. Ho fatto la conoscenza di questo ragazzo e siamo stati a parlare di me e dell’associazione con grande pace e rispetto.
Può sembrare banale scriverlo ma mi sentivo a casa. Ero stato onesto e non sentivo per la prima volta la paura che il mio interlocutore mi stesse giudicando. Ero protetto. Dopo una bella chiacchierata io me ne sono andato perché di lì a poco ci sarebbe stata la riunione ufficiale dell’associazione. Quel giorno mi sono sentito fiero di me stesso…
La settimana successiva mi sono recato all’associazione per partecipare alla mia prima riunione che corrispondeva all’ultima per l’associazione prima della pausa estiva. Le mie paure erano ancora più forti, avevo il timore che sarei rimasto attaccato al mio noto interlocutore che avrebbe dovuto farmi da chioccia.
Invece no, nuovamente mi sentivo completamente a mio agio. Uno stato di benessere mai sentito in vita mia, o almeno mai percepito in maniera così prolungata. Quanto sono stato sciocco!!! Quanto tempo ho perso…Se solo avessi dato ascolto al mio cuore avrei impedito che i miei dolori prendessero su di me il sopravvento. Man mano che arrivava gente mi presentavo. Parlottavo con chi capitava. Non mi era mai capitato di essere così eloquente tra sconosciuti. La chiave era sempre quella: NON AVEVO PAURA DEL GIUDIZIO DEGLI ALTRI.
Chiunque si poneva empaticamente. Sapevo che quello che dicevo era stato provato in qualche modo da un po’ tutti. Feci la mia testimonianza davanti a una 30ina di persone che a parte il mio interlocutore non conoscevo. Ero stato molto onesto. Avevo raccontato il mio dramma e dell’esigenza di ricevere guida e consigli dall’associazione…Intanto quando ho sentito parlare gli altri…giovani che avevano vissuto l’adolescenza lottando per i propri diritti e vivendo la malvagità dei bulli, allora mi sono sentito una cacca. Loro avevano deciso di esprimersi liberamente e io mi ero nascosto sotto terra. Avevo imparato tanto quella sera.
L’associazione sembrava il giusto trampolino di lancio…
Io ero pronto a seguire con la mano aperta e protesa come un bimbo alla ricerca della mani grandi e rassicuranti di un padre…
Comunicazione inefficace
Per capirci meglio: credo che sia capitato a chiunque di perdere l’attimo giusto per poter pronunciare quella espressione, quel modo di dire o semplicemente quella parola in circostanze particolarmente emozionanti, in momenti concitati o magari mentre si discute, che solo in un secondo momento, a mente fredda, si materializza nei nostri pensieri ?!?…Ecco!…A me succede spesso e con frequenze sempre maggiori…
Mi accorgo che la mia comunicazione non è efficace e di non utilizzare quasi mai durante una conversazione le parole più pertinenti e di sentirmi quindi uno stupido incapace di esprimersi adeguatamente.
In qualsiasi ambito: lavoro, famiglia, amicizie, contesti formali…provo a parlare più lentamente possibile per dare il tempo alla mia mente di ricercare “la parola giusta” in una immaginaria immensa sala strapiena di pile di dizionari impolverati che ripetono nelle pagine sempre gli stessi lemmi. Così descrivo la mia attività di ricerca mentre parlo ed è quindi facilmente presumibile come questa tortura mi impedisca di esporre serenamente le mie opinioni, i miei pensieri e preferisca il silenzio e l’ascolto degli altri.
Nel tempo ho capito che la scrittura rappresenta il miglior strumento di comunicazione che mi permette di esprimere le mie opinioni. Il suono delle mie parole, della mia voce non mi appartengono. Riguardano una persona inetta, flemmatica e noiosa. Invece io penso velocemente usando una voce che riconosco mia e che non si traduce mai in un suono emesso. Risuona confinata nella mia testa.
Rifiuto i social più moderni che ci costringono a comunicare dal vivo in tempi ristretti provando ad essere il più possibile efficaci. Si tralascia il contenuto, la comprensibilità e si pensa esclusivamente alla migliore strategia di marketing da applicare per aumentare il numero dei propri seguaci. Siamo diventati dei frenetici venditori di fuffa. Non siamo quello che diciamo, ma come lo diciamo…
Questo mondo, indipendentemente dalla mia palese inadeguatezza comunicativa, non mi attira. Rimango sempre affascinato dagli oratori dal linguaggio fluente e forbito che lanciano tanti spunti di riflessione per menti che non sono più avvezze al ragionamento.
Mi sento anche a disagio quando utilizzo applicazioni di messaggistica istantanea. Spesso mentre scrivo mi blocco, poi trovo un errore, cancello, poi cambio altre parole e dopo finalmente clicco su invio… Praticamente questo supplizio costituito da cancellazioni, riprese, re-inizi riguardano anche le registrazioni vocali che sono soggette a una mia revisione più accurata.
In pratica con me perde valore la definizione stessa dello strumento.
Mi chiedo spesso come facciano gli altri (non tutti) che possiedono una certa proprietà di linguaggio, che danno voce ai loro pensieri e di conseguenza fanno la differenza. Io e quelli come me siamo solo destinati a seguire come dei fedeli cagnolini le opere degli altri, fantasticando di poter essere noi un giorno.
Spesso mi sono domandato quali potessero essere le cause del mio problema ipotizzando che dipendessero dalla mia insicurezza che condiziona la mia intera vita.
Insicurezza generata dalla prepotenza e indifferenza che hanno segnato la mia giovinezza.
Per adesso scrivo ma sogno un giorno di fare un discorso bello e sincero su un pulpito con tante persone all’ascolto senza provare nessun tipo di paura.
Imbalsamato…le scelte degli altri…
Praticamente mi accorgo per l’ennesima volta di essermi arenato. Sono bloccato, non riesco più ad andare avanti e nemmeno indietro. Posso solo sparire per tele-trasportarmi altrove. Perché quando abbandono un percorso ne inizio un altro. Quando incomincio qualcosa nutro la speranza che ciò possa essere una via di fuga che mi porti lontano dalla mia prigione. Ma sistematicamente qualcosa non funziona.
Ho alimentato il dubbio che le mie “scelte” in fin dei conti fossero indotte da qualcuno, qualcosa e mai pienamente consapevoli. Per questo motivo, forse, dopo l’entusiasmo iniziale legato alla novità succedeva che il mio interesse, il mio impegno si affievolisse e prendesse il sopravvento la pigrizia e poi la depressione…e sentissi l’esigenza di essere accompagnato perché tutto quello che faccio da solo non riesco a portarlo a compimento. Non ho la forza. Non ho la capacità. Così la vedo e perciò dopo un po’ di tempo lascio tutto e metto da parte.
Quando invece iniziavo un percorso insieme ad un’altra persona riuscivo a terminarlo perché mi sentivo sicuro e protetto.
Quello che sono oggi è il risultato delle scelte di altri che hanno deciso per me o mi hanno accompagnato al raggiungimento di un obiettivo. Gli altri possiedono il carattere giusto per affrontare la vita, io invece la vita l’ho sempre scansata, concentrandomi soltanto sul tentativo di sopravvivere. Sono il frutto del flusso degli eventi che si susseguono senza controllo.
Non ho mai scelto nulla nella mia vita. Sono sempre stato “portato” dal destino come un cane tenuto al guinzaglio dal proprio padrone. Sono figlio del contesto in cui ho vissuto. E’ come se seguissi un percorso generico prestabilito da quando sono nato per tutti quelli che nascono qui. Non c’è nulla di mio, delle mie passioni, non ci sono “diritti d’autore”.
Già prima che io nascessi, uno avrebbe potuto facilmente prevedere la vita, secondo gli schemi, del ragazzo che sarei stato. Ho fatto tutto secondo convenzione sia perché il convenzionale ti rassicura sia perché non avevo nulla di originale da dire e nessuno che mi spronasse a comunicare.
Mi ripetevo continuamente qualcosa che inconsciamente ho sempre saputo: “Non ho mai scelto” …
La dipendenza dagli altri
Crediamo che sia fondamentale cercare consenso sociale e quindi ci modelliamo in base a chi abbiamo di fronte. Facciamo ampi e ripetuti sorrisi. Ascoltiamo. Diciamo sempre sì. Accresciamo l’ego del nostro interlocutore. Più lui parla più proporzionalmente occultiamo la nostra vera personalità. Siamo destinati ad annullarci; ad abbandonare i nostri obiettivi. Ci rendiamo strumenti funzionali delle altrui volontà. La nostra vita è costituita dagli altri, non da noi stessi. Ci interessa rendere felici gli altri. Viviamo attraverso loro.
Siamo un po’ come le remore che si lasciano trasportare dagli squali. Le remore non determinano nulla, rimangono solo attaccate al più temibile dei predatori approfittando del trasporto e degli avanzi. Noi siamo questo, ci accontentiamo degli avanzi. Non ci rendiamo conto delle nostre reali possibilità. Escludiamo per paura, per abitudine, per pigrizia il cambiamento della nostra esistenza. Secondo la nostra prospettiva, piccole cose per i “predatori” diventano insormontabili per noi “remore”. La remora da sola sarebbe spacciata. La propria esistenza è legata a quella dello squalo. C’è una dipendenza impossibile da interrompere. Ma noi non siamo remore…siamo uomini come tutti e come tali abbiamo le stesse capacità e potenzialità. Dobbiamo solo rendercene conto!
Preferiamo trascorrere il tempo passivi nella nostra comfort zone evitando qualsiasi tipo di sforzo, sacrificio. Questa condizione ci impedisce di apportare delle novità.
Siamo troppo spaventati nell’intraprendere una nuova esperienza: un nuovo lavoro, una nuova amicizia, una qualsiasi attività. Rimaniamo alla fine a crogiolare nel nostro stato, vita natural durante.
Dobbiamo imparare ad avere fiducia in noi. Quante volte ho iniziato un progetto con enorme entusiasmo che ho abbandonato dopo un po’ di tempo senza raggiungere mai l’obiettivo. Questo meccanismo mentale si è ripetuto sistematicamente. A un certo punto mancano gli stimoli, le difficoltà diventano invalicabili. E’ impossibile andare avanti. Lasciamo un’attività e ci dedichiamo a un’altra in attesa di trovare quella che sia giusta per noi, quella che ci permetterà di raggiungere la meta.
In questa incertezza personale causata dalla inettitudine percepita da noi stessi diventa fondamentale l’altro che diventa un punto di riferimento.
Quando da soli non riusciamo a far funzionare nulla allora ci aggrappiamo agli altri. Perché l’altro è migliore di noi, riesce ad ottenere risultati. Merita la nostra attenzione, la nostra ammirazione. Alla presenza di queste persone talentuose serbiamo la speranza di essere infusi dalla loro scaltrezza.
Il problema è proprio l’oggetto che poniamo al centro della nostra analisi.
Dobbiamo tenere fuori gli altri!
La psicoterapia mi ha aiutato a porre la mia persona al centro della mia vita.
Nel mio cammino mi impegno in maniera sempre più incisiva a distaccarmi dalle cose degli altri: dal loro giudizio, dal loro consenso, dai loro progetti, dai loro pensieri; in modo che non influenzino nettamente la mia esistenza.
E’ importante avere le idee chiare, trovare la giusta strada incorrendo anche nell’errore ma dobbiamo imparare ad avere fiducia in noi stessi. Da lì parte la nostra crescita personale.
Per iniziare, seguiamo in ordine questi semplici passi:
• scrivere una lista degli interessi e passioni molto liberamente e onestamente.
• capire la fattibilità delle attività.
• pianificare tutte le attività settimanali – potrebbe servire un planning.
• imporsi di essere rigorosi e rispettosi della pianificazione – un po’ di sacrificio all’inizio potrebbe fruttare nel futuro.
• dedicarsi completamente alla nuova esperienza!
• non perdere la speranza alle prime difficoltà – è normale…bisogna andare avanti!
• non demoralizzarsi se non si dovesse raggiungere l’obiettivo – trovare una nuova attività e seguire gli stessi passaggi.
Una volta raggiunta la meta ci sentiremo realizzati, più sicuri di noi, e potremo con più facilità dedicarci ad altro con una maggiore consapevolezza di noi stessi.
Dobbiamo interrompere il fatalismo nutrito dai nostri insuccessi, avviando grazie al raggiungimento del nostro primo obiettivo un circolo virtuoso che sarà alimentato dai successivi successi.
Ci vorrà pazienza ma solo così potremmo guarire dalla dipendenza dagli altri.
Dubbi esistenziali: …io dov’ero?
Nel processo di miglioramento che ho iniziato e che riguarda quasi tutti gli ambiti della mia vita, mi soffermo ad analizzare le cose (fatte, dette) delle persone che provengono dal mio stesso retroterra.
Mi domando: “Ma…io dov’ero? Perché ho perso certe esperienze? Come faccio a non conoscere fatti o cose delle quali tutti parlano?
Questo processo mentale parte quando amici parlano per esempio di una canzone, di un tormentone, di un gioco, un fatto, un aneddoto fissati nel passato di cui tutti sanno, di cui tutti parlano tranne me. Perché?
Forse non c’ero. Boh
Ma quel non essere non si riferisce alla presenza fisica in un luogo ma alla mia condizione di totale assenza nella vita. Un non vivere fluttuante lontano dalle cose comuni e alimentato dalle cose del proprio mondo.
Il mio atteggiamento da bambino solitario poco incline al rapportarsi con gli altri mi ha permesso di creare un punto di vista unico e diverso dagli altri che ne condividevano l’essenza.
Al mio dubbio esistenziale potrei rispondere che ero nella realtà costruita da me e costituita da ciò che osservavo. Questa mia diversità mi portava a preferire la lettura dell’Ivanhoe di Walter Scott in estate al posto di giocare a pallone in strada,
sostituire la filatelia alla collezione delle figurine Panini, evitare di richiedere scarpe e vestiti alla moda privilegiando un abbigliamento più classico e retrò.
Parlavo una lingua diversa dal resto dei miei coetanei…
Un altro fattore che ha contribuito ad ampliare il gap è stata la generazione dei miei genitori: nati nell’immediato dopo guerra, avevano ricevuto una educazione rigida che addestrava al sacrificio e al senso pratico e non dava spazio alle futilità. Erano sempre tra i genitori più grandi e non possedevano ingenuamente gli strumenti per cogliere quelle piccolezze che all’interno di una classe, di un gruppo parrocchiale influenzavano la condivisione e l’integrazione in tenera età.
Oggi realizzo che mancano nella mia giovinezza quei tratti tipici, distintivi che tanto hanno caratterizzato quella dei miei coetanei.
Non ero mai sul pezzo. Non stavo sulla stessa lunghezza d’onda dei miei amici.
Percepivo le differenze, non mi sentivo a mio agio.
Quelle differenze apparenti avrebbero provocato in un secondo momento un atteggiamento discriminatorio degli altri che si sarebbe tradotto in violenze fisiche e verbali verso di me..
Ero diverso, ergo non capito, dovevo soccombere…
Dannazione…ma io dov’ero???
La forza contemplativa della campagna…
Così scrivevo 3 mesi fa quando decisi di passare del tempo in campagna nella completa solitudine…
Ho la necessità di mettere le cose al loro posto. I miei rapporti, la mia nuova condizione, il mondo esterno. Riuscirò a trovare un equilibrio?
Sono in campagna. Preferisco lasciare la mia casa troppo caotica per pensare e raggiungo il mio angolo di paradiso.
Sono ancora rimbambito per la nottata insonne. Qui, mi pare di essere entrato in una dimensione dalla quale vorrei ripartire. E’ bella la campagna. Mi immergo totalmente in questa giornata assolata, lievemente ventilata, nel completo silenzio. Non si sente voce umana. Solo la musica rasserenante degli uccellini che ti fanno realizzare di non essere l’ultimo essere vivente sulla faccia della Terra.
Chiunque dovrebbe ripartire da qui…
Da stamattina sento solamente la mia voce nella testa. Lascio spazio all’inconscio. Non ho ancora proferito le solite false parole che escono dalla mia bocca e che mi connotano al mondo. Sono io, solamente io in una pace assoluta. Che stupido aver compreso solo ora le potenzialità della mia sacra campagna, acquistata e curata dai miei come se fosse un figlio. Stare qui e anche un modo per rendere onore a loro e mi balenano idee, progetti da pianificare per rendere la mia campagna ancora più vivibile. Non sarebbe male trasferirmici per un periodo. Che grande giornata…
Ottima idea prendere il cortisone per evitare i soliti starnuti e lacrimazioni da allergia. Che bella la campagna…
Non ha orari la campagna. E’ tutta in ogni momento tremendamente e ugualmente bella.
Ti scombussola le abitudini e tu puoi soltanto lasciarti cullare in questo spazio/tempo lontano da casa tua.
Bisogna fare i conti con se stesso. Prima dell’annuncio della grande verità. Io ho dormito e adesso sento le mani pesanti che appoggiate sulla tastiera vanno spedite.
Mi sento come il Bernardo Soares di Pessoa. Inquieti scandagliamo la realtà e i sogni insonni che ci accompagnano. Ma io devo prendere il volo. Non posso rimanere qui.
Se penso che domani possa essere l’ultimo giorno della mia vita mi sento un coglione per tutto il tempo sprecato. Ho dato valore alle cose futili e fantasticavo anche io di vivere in terre lontane, di lavorare all’aria aperta e di amare qualcuno follemente. Devo trasformare questo in realtà. A differenza di Bernardo io riesco un po’ a dormire e i miei incubi mi chiariscono ulteriormente tutti gli errori che sto compiendo. Ho pensato tante volte oggi su come avrei potuto comunicare in un gruppo di miei simili. Come la mia richiesta di aiuto dovesse essere chiara, sintetica, non banale. Perché è giusto entrare nel contesto che mi appartiene. Mi dovrei lasciare abbandonare senza spiegare nulla a nessuno. Tenendo in conto che quello che sto facendo è esclusivamente la realizzazione del mio essere.
E’ normalità assoluta…
Mio padre…
Quante volte ho incrociato lo sguardo di mio padre e mi sono chiesto se lui sapesse della mia omosessualità (?)… Pensavo spesso al dispiacere che gli recassi di avermi come figlio.
Gli altri ragazzi parlavano delle prime fidanzatine, altri (più decisi) le portavano anche a casa. E io??? Come riusciva mio padre a giustificare l’assenza di una ragazza accanto a me??? Forse (?)…motivava il tutto col fatto che ero un ragazzo timido e solo. Immaginava quindi che fossi goffo con l’altro sesso e come succede a molti, un giorno come probabilmente si immaginava nella testa avrei aperto la porta di casa e avrei chiamato i miei genitori per presentare la mia ragazza (Purtroppo questo non sarebbe mai accaduto…).
Lui mi ha sempre spronato a migliorare. Voleva che fossi più attivo, più aperto, e stessi in mezzo agli altri ma sono passati tanti anni prima che mi emancipassi e stringessi rapporti veri e sinceri con gli altri.
Siamo molto diversi lui: sportivo, curato, punto di riferimento, determinato; io: ponderato, fuori forma, pigro, gregario. Quasi sicuramente non avrebbe voluto un figlio come me, però non mi ha mai privato del suo sostegno. Avrei voluto regalargli almeno un immagine di me più attiva, decisa, capace, ma non potevo fingere un carattere diverso dal mio.
Quando ero in crisi per via della mia facoltà, mio padre senza che gli dissi nulla ebbe l’arguzia di comprendere il mio problema e mi dimostrò tutta la sua sensibilità e solidarietà spronandomi ad andare avanti e a scegliere una nuova facoltà.
Ero estremamente sollevato. Provavo una profonda gioia.
Mi capitava di immaginare che lui sapesse tutto da sempre.
Qualche anno fa quando gli hanno diagnosticato una gravissima malattia neurodegenerativa io sono impazzito. Sono stato assalito da ansia e depressione. Mio padre che si era sempre occupato di noi ora aveva bisogno di me.
In quel momento frequentavo l’università. Non avevo nessuna responsabilità e limiti. Avevo una paghetta settimanale. Ero totalmente dipendente da mio padre. Ero particolarmente immaturo. Non avrei mai potuto immaginare che mi sarebbe capitato un dramma così devastante.
Siamo abituati a osservare con grande distacco certe realtà finché poi ci ritroviamo impreparati a viverle a casa. Sono dovuto crescere velocissimamente, dovevo badare a mio padre. Dovevo organizzare il nuovo assetto domestico. Dovevo aiutare mio padre ad accettare questa dannata malattia. Dovevo pensare a portare avanti una casa. Dovevo occuparmi anche di mia madre. Mia madre era già malata da tempo e mio padre era riuscito magistralmente a non caricarci di questo peso. Io fino a quel momento non avevo mai realizzato che mia madre avesse bisogno di aiuto. Nonostante il suo problema ero sempre riuscito a vederla nel suo ruolo di madre che magari faceva fatica rispetto alle altre madri ma più o meno riusciva a occuparsi di noi.
In pratica mi sono trovato a fare il capo-famiglia senza che l’avessi voluto, senza nessuna abilità, senza sapere nulla.
Che grande difficoltà all’inizio. Non avevo l’idea da dove iniziare e non potevo contare su nessun altro famigliare che non fosse mia sorella che sembrava totalmente in balia delle onde.
Bisognava farsi forza. Mascherare le ansie, le paure. Mostrare tranquillità e sicurezza. E andare avanti…
Mio padre aveva bisogno di me. La mia omosessualità ancora per una volta poteva aspettare…
Bullizzato (?)
Impaurito dal mondo, spesso rimanevo solo a casa, mogio sul mio letto, quando invece i miei coetanei gareggiavano a chi creasse più scompiglio nel quartiere.
Ero un ragazzino sfigato degli anni ’90 che aveva paura degli altri.
Quante volte mi sarà successo di rimanere a casa e mio padre mi spronava a vestirmi e stare con gli altri. Quanta ansia. Avevo paura di essere preso in giro, di essere giudicato. Per me era uno shock ricevere insulti e violenze. Provavo a difendermi ma davanti a tale crudeltà e tracotanza rimanevo attonito. Non capivo le ragioni. Era tutto molto fine a se stesso. Spesso ritornavo a casa completamente scosso e agitato con l’idea che avrei dovuto reagire, avrei dovuto far sentire la mia voce. In realtà l’istinto di sopravvivenza mi spingeva a evitare i luoghi del misfatto e quelli frequentati dai miei carnefici.
Prima non si parlava di bullismo…ed era pratica alquanto comune e per certi versi giustificata che il più forte in ogni contesto dovesse prendere sopravvento sul più debole. Rispetto a oggi certi comportamenti sociali funzionavano diversamente, specialmente per le limitate capacità di diffusione delle notizie. Un bullo di oggi può contare sui social per ottenere una certa popolarità che lo investe del titolo di re del branco o addirittura re del web se le situazioni prendono una strana e brutta piega. Prima il campo di azione del bulletto e la diffusione delle sue malefatte era limitato al quartiere di paese. Non si immortalavano questi episodi violenti come viene fatto oggi. Oggi alla prima baruffa tutti i ragazzi sono pronti con il cellulare a riprendere questo spettacolo deplorevole. Nessuno interviene più a interrompere lo scontro. Prima c’era maggiore coscienza. Si comprendevano i limiti e si dava maggiore importanza ai rapporti umani.
Noi sfigati degli anni ’90 dovremmo ringraziare probabilmente l’arretratezza tecnologica del tempo se siamo riusciti a razionalizzare questi eventi traumatici e siamo riusciti ad andare avanti sfuggendo alla sorte nefasta di molti ragazzi bullizzati di oggi giorno. Forse siamo salvi proprio per quello. La poca visibilità del nostro bulletto o dei nostri castighi ci ha salvato. Abbiamo evitato che anche la rete potesse infierire su di noi.
Durante le scuole medie capitava tra noi ragazzi di prendere in giro le nostre madri e sorelle. Era un modo goliardico per passare del tempo. Si raccontavano storielle, si intonavano canzoncine. Tutto sembrava al quanto democratico. Con l’avanzare del tempo però si consolidava una certa ostilità nei miei confronti. Proprio a partire da quelli che reputavo amici avvenne una campagna contro di me. Non credo ci fosse l’intenzione di prendermi di mira anche perché non c’erano validi motivi però su di me questo sbeffeggiamento aveva un effetto rilevante perché mi offendevo parecchio e più provavo a difendere me e quindi mia sorella da quelle accuse infondate, più il fenomeno diventava ostile…
Fu inventato un acronimo che riguardava mia sorella e che mi veniva rivolto per offendermi. Dalla classe questo fenomeno iniziò a espandersi a macchia d’olio.
Compagni di classe, di gioco, ragazzini della chiesa, sconosciuti, quando mi vedevano pronunciavano a voce alta quell’acronimo, o canticchiavano un motivetto.
Qualcuno addirittura scriveva sui muri. Dopo aver tentato tante volte di placare questi sfottò alla fine decisi di accettare la mia condizione di vittima sacrificale con la speranza che da grande tutto ciò si sarebbe risolto.
Anche quando tutto sembrava finito, ho convissuto per anni con la paura di essere preso in giro e di trovare in giro i miei carnefici.
Adesso tutto questo mi sembra molto distante ma mi accorgo che ancora oggi porto con me gli strascichi di quella brutta esperienza. Sono estremamente diffidente nei confronti del prossimo. Ricerco consenso sociale. Preferisco non esprimere il mio parere perché non voglio generare ostilità.
Penso che magari senza quel periodo sarei stato più sgombro mentalmente dalle strutture che mi hanno ingabbiato.
Mi sarei sentito più libero…sarei stato più sincero…e soprattutto avrei avuto coraggio di esprimermi…
Abbiamo il dovere di dare la giusta risonanza al fenomeno, segnalare una violenza, esortare i più giovani e i leoni da tastiera a sensibilizzare con il concetto di empatia, difendere il più debole, educare il bullo.
Proteggiamo la vita…