Patetico. Solo lavoro

Mi accorgo di essere rimasto completamente solo, di elemosinare la compagnia degli altri e di intrattenermi a lavoro perché non ho nulla da fare.
Il corso di degustazione del vino è sospeso da una vita ormai.
Avevo intenzione di iscrivermi a qualche corso di recitazione o di canto per imparare a stare con gli altri, per comunicare in maniera efficace e anche perché, memore dei “successi riscossi” tra le mamme e le insegnanti nelle recite alla scuola elementare e nelle esibizioni corali alla scuola media volevo riprovare quella “emozione” (diciamo…) ma non sono riuscito a vincere la mia inazione.
Sono totalmente frenato. Mi guardo allo specchio e mi sento inadeguato. Un emerito inetto, sfigato e incompreso. Un pesciolino in un branco di squali.
Quando ti senti debole e insicuro puoi soltanto nasconderti evitando le responsabilitàquelle che riguardano la propria crescita personale.
Quelle inevitabili, quelle della propria famiglia e quelle di chi sta più fregato di te e a cui vuoi bene devono essere assunte per obbligo morale.
Nonostante abbia sempre odiato il mio lavoro, ritenendolo noioso e privo di “scopo”, nell’ultimo periodo sto traendo la motivazione per andare avanti.
Il lavoro è tutto per un uomo e grazie a ciò si sente compiuto.
Per quelli come me che non riescono a conoscere nuova gente, ad alimentare le proprie passioni, a viaggiare, il lavoro diventa l’unico elemento in cui immergersi completamente.
Non prendo giorni di ferie da tempo anche perché non saprei come impiegarli.
Mi dimeno durante le ore lavorative cercando più responsabilità possibili.
Non mi interessa il riconoscimento economico anche perché non arriverà mai.
Sono la risorsa “cinese” pronta ad essere sfruttata, che non si lamenta mai e che sopperisce alle assenze di tutti. Mi sento a volte come Fantozzi in quella memorabile scena dove tenta di mascherare tutti i suoi colleghi che erano fuori, in vacanza, davanti agli occhi della dirigenza e allora si spostava da un ufficio all’altro governando dei burattini che simulavano i movimenti dei colleghi assenti.
Un lavoro, il mio, che non ti garantisce nemmeno una sedia e una scrivania decorosa. A me sono rimasti gli avanzi degli altri. Ho cambiato ufficio per motivi organizzativi e da settimane aspetto che mi arrivino dei tavoli da lavoro, una sedia e tutto l’occorrente utile. In questa azienda c’è una strana considerazione dei lavoratori. Ci sono settori di serie A e settori di serie B. Io appartengo a quelli di serie B (logicamente); quelli che non vengono invitati alle cene aziendali, quelli a cui può mancare il panettone a Natale. Quelli che a loro volta se ti lamenti insistentemente riesci a ottenere qualcosa, altrimenti puoi morire dimenticato da tutti come succede a me.
Nonostante questa premessa poco confortante, sono riuscito a trarre un po’ di motivazione dal mio lavoro all’interno di un contesto (la mia vita) in cui oltre il lavoro non c’è nient’altro. E allora accetto tutte le ingiustizie e umiliazioni che devo subire nel mio posto di lavoro.
Quando sta per terminare la mia giornata lavorativa, l’ansia mi assale al pensiero di dover vivere; vivere la mia vita. Prima non vedevo l’ora che finissi, per uscire e dedicarmi a me, ma adesso le fragilità hanno preso totale sopravvento e mi intrattengo per un altro po’ a lavoro. Allungo il mio brodo per giustificare alla mia mente il ritardo. Il solito meccanismo che si instaura in me: l’autoinganno.
E allora questo è il più bel lavoro del mondo, sono apprezzato dalla proprietà, tutti lo vorrebbero fare. Un lavoro che richiede responsabilità perciò è difficile terminare in orario…e così inganniamo anche la società…
Adesso…senza il mio lavoro non sarei nulla.
E il nulla…scompare…