Convergenze…

In atto non c’è ancora niente ma in potenza non ho mai percepito come oggi queste energie di rinnovamento che risiedono in me. Sembra come se gli astri si stiano allineando e io mi stia posizionando in prima fila, pronto finalmente a brillare di luce propria. Per adesso, si tratta di una sensazione che si materializza come una siepe che protegge e mi impedisce, almeno per ora, di osservare l’infinito orizzonte di insuccessi che si staglierebbe alla mia vista.
Sembra, un po’ casualmente e un po’ intenzionalmente che questo 2021 mi stia regalando delle novità o forse è meglio parlare di preludi o abbozzi di novità.
E’ tutto in fase di progettazione. Non c’è nulla di concreto, di tangibile, visibile.
Sembra che abbia arato il mio terreno e abbia seminato alcuni semi che per germogliare necessitano del cosiddetto “colpo di freddo”.
Si capisce che l’ecosistema è tremendamente fragile e avverto la preoccupazione di non essere in grado di preservare e far germogliare queste semenze.
Sto ristrutturando ed ampliando la mia casa in campagna per renderla vivibile, dotata quindi degli spazi e dei servizi idonei. Una casa tutta per me dove potrei trasferirmi soddisfacendo il bisogno di libertà, riservatezza, indipendenza maturato negli anni a causa della convivenza forzata con tutti gli altri coinquilini presso casa mia per l’assistenza che viene offerta ai miei.
Ho cambiato ufficio. Mi sono trasferito con il mio gruppo di lavoro. Mi occupo sempre delle stesse cose anche se aumentano le responsabilità. Gestisco il lavoro di altri. Mi sento meglio.
Mi sono svincolato dalla presenza tossica di un collega invadente, responsabile di un gruppo di lavoro, che solo perché condividevamo gli stessi spazi si ergeva a responsabile dell’ufficio e parlava anche a nome mio con i capi, quando in realtà lui non ha nessun potere su di me. Che grande liberazione!
Mi sto impegnando il più possibile a rendere, anche a mie spese, l’ambiente di questo nuovo ufficio più confortevole e funzionale possibile.
Nella tragedia della mia condizione sessuale, ho sentito l’esigenza di recuperare i contatti con quella associazione che si occupa di diritti lgbtqi che qualche anno fa mi aveva accolto calorosamente. Ricordo quando in presenza di una 20ina di persone durante il mio primissimo incontro avevo raccontato della mia omosessualità, della mia verginità. Il mio primo coming out fuori dal gruppo di terapia.
Esperienza pienissima, liberatoria e gratificante.
Grazie al supporto di un socio che per me sta diventando un punto di riferimento del mio percorso di riscatto, ho partecipato qualche giorno fa ad una conference call in presenza di tante volontari dell’associazione. Alcuni che conoscevo, altri no.
Sono stato bene. Mercoledì sarà il prossimo incontro.
Ho chiamato una nutrizionista. L’ennesima della mia vita. Ho parlato chiaramente. Ho spiegato che il mio problema è il mantenimento e spesso mi abbuffo di cibo, specialmente junk food, quando sono di bassissimo umore. Mi è sembrata comprensiva, empatica. Sto aspettando che mi invii la dieta. Sono preoccupato. Come sempre ho paura di non farcela.
I cambiamenti mi terrorizzano. Mi rendono ansioso, agitato. Mi fanno tremare le gambe (nel vero senso della parola). Il mio senso di inadeguatezza è altamente marcato che mi impedisce di spiccare il volo. I cambiamenti mi assalgono, mi travolgono, mi impediscono di concentrarmi su tanti altri aspetti importanti della mia vita. Perdo la lucidità, mi manca l’aria, vado in affanno.
Ma…se si sposta il fulcro, i cambiamenti sono necessari per ristabilire un nuovo equilibrio…
Sembra che questi semi di novità convergano nell’obiettivo di rendermi una persona nuova…
Casualmente stamattina leggendo un articolo sulla grande poetessa israeliana Lea Goldberg mi sono imbattuto in una sua poesia nella quale nonostante le sue posizioni laiche lei si rivolge a Dio e lo prega affinché ogni giorno sia diverso dall’altro e il cambiamento, la crescita siano parti integranti dell’esistenza “perché non sia questo mio giorno come ieri e l’altro ancora, perché non sia per me ogni giorno un’abitudine”.
Bisogna accogliere con le braccia e i cuori spalancati ogni cambiamento dell’essere augurandoci che il tempo si rinnovi durante il suo corso rifiutando ogni assuefazione e limite di noi stessi.
Mi piace credere che non sia casuale questa lettura…

Patetico. Solo lavoro

Mi accorgo di essere rimasto completamente solo, di elemosinare la compagnia degli altri e di intrattenermi a lavoro perché non ho nulla da fare.
Il corso di degustazione del vino è sospeso da una vita ormai.
Avevo intenzione di iscrivermi a qualche corso di recitazione o di canto per imparare a stare con gli altri, per comunicare in maniera efficace e anche perché, memore dei “successi riscossi” tra le mamme e le insegnanti nelle recite alla scuola elementare e nelle esibizioni corali alla scuola media volevo riprovare quella “emozione” (diciamo…) ma non sono riuscito a vincere la mia inazione.
Sono totalmente frenato. Mi guardo allo specchio e mi sento inadeguato. Un emerito inetto, sfigato e incompreso. Un pesciolino in un branco di squali.
Quando ti senti debole e insicuro puoi soltanto nasconderti evitando le responsabilitàquelle che riguardano la propria crescita personale.
Quelle inevitabili, quelle della propria famiglia e quelle di chi sta più fregato di te e a cui vuoi bene devono essere assunte per obbligo morale.
Nonostante abbia sempre odiato il mio lavoro, ritenendolo noioso e privo di “scopo”, nell’ultimo periodo sto traendo la motivazione per andare avanti.
Il lavoro è tutto per un uomo e grazie a ciò si sente compiuto.
Per quelli come me che non riescono a conoscere nuova gente, ad alimentare le proprie passioni, a viaggiare, il lavoro diventa l’unico elemento in cui immergersi completamente.
Non prendo giorni di ferie da tempo anche perché non saprei come impiegarli.
Mi dimeno durante le ore lavorative cercando più responsabilità possibili.
Non mi interessa il riconoscimento economico anche perché non arriverà mai.
Sono la risorsa “cinese” pronta ad essere sfruttata, che non si lamenta mai e che sopperisce alle assenze di tutti. Mi sento a volte come Fantozzi in quella memorabile scena dove tenta di mascherare tutti i suoi colleghi che erano fuori, in vacanza, davanti agli occhi della dirigenza e allora si spostava da un ufficio all’altro governando dei burattini che simulavano i movimenti dei colleghi assenti.
Un lavoro, il mio, che non ti garantisce nemmeno una sedia e una scrivania decorosa. A me sono rimasti gli avanzi degli altri. Ho cambiato ufficio per motivi organizzativi e da settimane aspetto che mi arrivino dei tavoli da lavoro, una sedia e tutto l’occorrente utile. In questa azienda c’è una strana considerazione dei lavoratori. Ci sono settori di serie A e settori di serie B. Io appartengo a quelli di serie B (logicamente); quelli che non vengono invitati alle cene aziendali, quelli a cui può mancare il panettone a Natale. Quelli che a loro volta se ti lamenti insistentemente riesci a ottenere qualcosa, altrimenti puoi morire dimenticato da tutti come succede a me.
Nonostante questa premessa poco confortante, sono riuscito a trarre un po’ di motivazione dal mio lavoro all’interno di un contesto (la mia vita) in cui oltre il lavoro non c’è nient’altro. E allora accetto tutte le ingiustizie e umiliazioni che devo subire nel mio posto di lavoro.
Quando sta per terminare la mia giornata lavorativa, l’ansia mi assale al pensiero di dover vivere; vivere la mia vita. Prima non vedevo l’ora che finissi, per uscire e dedicarmi a me, ma adesso le fragilità hanno preso totale sopravvento e mi intrattengo per un altro po’ a lavoro. Allungo il mio brodo per giustificare alla mia mente il ritardo. Il solito meccanismo che si instaura in me: l’autoinganno.
E allora questo è il più bel lavoro del mondo, sono apprezzato dalla proprietà, tutti lo vorrebbero fare. Un lavoro che richiede responsabilità perciò è difficile terminare in orario…e così inganniamo anche la società…
Adesso…senza il mio lavoro non sarei nulla.
E il nulla…scompare…

Fuori rotta – vergogna – basta

Mi sembra incredibile che passano gli anni senza che ci siano cambiamenti nella mia vita.
Lavoro, casa e pochissime uscite, finalizzate prevalentemente alla consumazione di pasti. Poi, da un anno con l’avvento del covid la mia condizione di solo e incompreso si è acuita. Le relazioni con gli altri si sono limitate a due cazzate scritte su WhatsApp.
La mia riservatezza, la paura di parlare della mia omosessualità, la mia verginità hanno eretto un muro tra me e gli altri che ogni momento cresce verso l’alto di una fila di mattoni.
La paura del confronto e del giudizio degli altri mi schiaccia. L’ansia mi assale durante la conversazione e più tento di concentrarmi sui concetti e sulle parole e più incorro negli errori.
Sono tremendamente insicuro.
L’emergenza covid mi ha scaraventato nel mio antro di Polifemo, la mia stanza, obbligato a riscrivere la mia vita tra 4 mura davanti a un computer. Per quelli riservati, introversi, codardi, affezionati alla confort zone come me la costrizione di rimanere segregati in casa è la consolazione di non dover comunicare e interagire con nessuno. Di non mettersi in discussione. Di rimanere bloccati in questo loop di logiche autoreferenziali private del confronto con gli altri.
Un mondo insignificante e invisibile a tutti, in pratica.
Anche il covid come il sonno è estremamente democratico. Una piaga che indipendentemente dalle ripercussioni sanitarie ci ha costretto a passare tanto tempo, spesso perso, a casa. Un’altra consolazione per noi amanti del tempo perso, procrastinatori, riflessivi pianificatori del non fare. Tempo perso per tutti, meno sensi di colpa, meno ansie da gestire.
“…Ricominceremo a vivere alla fine del covid…purtroppo per ora non si può fare nulla, anzi per il bene del paese dobbiamo rimanere a casa…”. Questa la frase più ripetuta e pronunciata ipocritamente dai miei simili. Troppo facile annullare la propria esistenza per una imposizione dettata dall’alto.
Che invidia sentire i progetti di vita, i traguardi degli altri. Mi vergogno di me ogni volta che provo frustrazione quando qualcuno felicemente descrive le novità della propria esistenza. Spesso fingo di essere interessato ma quanto mi piacerebbe provare la gioia della condivisione. Desidero un rapporto alla pari con l’altro: pieno, interattivo, stimolante, vivido, intenso, eccitante; finalizzato alla condivisione sincera.
Servirebbe un approccio diverso, non necessariamente un risultato per cambiare vita.
Oggi mi sento più ottimista di ieri…
Oggi ho più speranza di ieri…
Speriamo che questo ardore non sia il solito fuoco di paglia.

Il matrimonio del mio migliore amico

Quasi un anno fa accadeva questo…
Come al solito il mio rapporto con il tempo è legato più ai ricordi che affiorano dopo che alle emozioni del presente.

Passeggiavamo lungo un molo, un pomeriggio della prima estate finché a un certo punto ci sedemmo e i miei amici mi comunicarono che avrei celebrato il loro matrimonio. Ero incredulo ed emozionato…
Non lo avrei mai immaginato…e per l’amore che provo per loro, per me sarebbe stato un grandissimo onore.
Che incredibile sorpresa…
Era un enorme fardello, un riconoscimento che mi inorgogliva da un lato e mi caricava di ansia e tensione dall’altro.
Il mio ruolo sarebbe stato fondamentale. Tutto doveva andare per il verso giusto.
Non avrei potuto fare gaffe. Avrei dovuto organizzare tutto perfettamente.
Sarebbe dovuta essere una giornata indimenticabile per gli sposi e per i presenti.
Di lì a poco per circa un mese mi sono trovato a coordinare tutti gli aspetti legati al rito. Un amico celebrante professionista mi aveva dato dei consigli e passato la copia del libretto di un matrimonio civile da lui celebrato.
Mi sentivo costantemente con gli sposi per dettagli tecnici e per la stesura dello scambio delle promesse. Davo disposizioni ad altri due amici che avrebbero parlato durante la celebrazione e qualche giorno prima contattai il Comune ospitante per definire gli ultimi dettagli.
Ci tenevo troppo che andasse tutto per il verso giusto.
Iniziai intanto a scrivere la mia introduzione.
Avevo visto alcuni video su Youtube per trarre l’ispirazione ma non mi convinceva la chiave troppo ironica dei discorsi. Ritenevo che troppe risate non avrebbero dato la giusta rilevanza all’atto che si sarebbe compiuto in quel momento. Bisognava essere più equilibrati. Sarei dovuto essere me stesso. Un po’ istituzionale, un po’ formale, un po’ prete buono (visti i trascorsi). Forse più di tanti altri avrei potuto elevare quel momento perché magari avevo ben chiara l’immagine rigorosa del matrimonio in chiesa con la sua ritualità e con gli istanti commoventi durante lo scambio delle promesse e delle fedi.
Nel matrimonio civile tutto ( o quasi) è personalizzabile. Addio ai soliti brani suonati in chiesa, pieno spazio ai gusti musicali degli sposi. Le promesse preparate sviluppate sull’esperienza di vita vissuta sino a quel momento. I brani letti dagli amici che hanno commosso tutti e che narravano teneramente la storia romanzata dei nostri amati sposi. La mia presentazione che esaltava i pregi della loro relazione assunta come esempio della coppia perfetta che si ama ogni giorno come se fosse il primo e che lascia piena libertà al proprio partner nel rispetto dell’altro. Ho parlato dell’istituzione del matrimonio e della sua bellezza. Poi c’è stato il momento della lettura degli articoli e ho cercato da buon delegato del Comune di dare il giusto tono solenne.
Ricordare tutti questi momenti mi emoziona. Avere la fortuna di essere stato partecipe di questo agglomerato di sentimenti che quel giorno hanno unito tutti è bellissimo. Un tripudio di emozioni, molto difficili da spiegare.
Sembrava come se il flusso dell’amore dei miei amici sposi che abbiamo celebrato si fosse diffuso in ognuno di noi rendendo possibile questa splendida celebrazione e questo splendido matrimonio.
Mai mi è sembrato che i contenuti messi in campo fossero così elevati. Difficilmente in un qualsiasi contesto sociale ho provato e percepito questa effervescenza nell’aria. Questo desiderio di comunicare e condividere emozioni. Come se questa celebrazione avesse scardinato una porta arrugginita, vecchia bloccata e chiusa da tempo. La porta delle emozioni che nella società attuale spesso sorda e intollerante preferiamo tenere sbarrata. Ma la magia di quel giorno ci ha reso tutti un po’ vulnerabili. Tutti uniti dal profondo bene per i nostri cari sposi. Ci siamo sentiti tutti più liberi e leggeri, abbiamo dato sfoggio alle nostre emozioni.
Noi che siamo intervenuti abbiamo dato voce a tutti i presenti.
Alla fine della celebrazione io avevo evitato di fare brutte figure e tutto sembrava perfetto. Molti hanno apprezzato questa rito e si sono complimentati con me e con tutti quanti.
L’obiettivo era stato raggiunto: rendere onore all’amore dei miei amici.
La giornata è stata indimenticabile…

La fine dell’amicizia

Credo di essere rimasto solo, intrappolato in un limbo alla ricerca della porta d’ingresso della mia vita perché quella attuale è solo una pantomima di esistenza in cui io interpreto una parte.
Nel cammino del cambiamento si perdono le molteplici certezze basate sull’ipocrisia, si prova tanto dolore e si mietono vittime.
In questo limbo presente si anela verso il raggiungimento di un nuova condizione fondata sull’onestà. Oggi giorno ho smesso di coltivare rapporti ipocriti, insulsi. Non frequento ambienti tossici. Ho limitato la mia generosità e disponibilità. Non mi assumo impegni per curare gli interessi di altri. Ho imparato a frequentare eventi da solo e a non dipendere da nessuno. Credo nella crescita culturale perciò ho intensificato la lettura e lo studio per diletto. Sono diventato il paladino del “NO”. No ai condizionamenti, No alla banalità, No all’ignoranza.
Questo isolamento ha acuito le distanze tra me e gli altri. Ho eliminato nel tempo tante persone dalla mia cerchia di amici perché troppo presuntuosi, o ignoranti, o falsi o non sufficientemente interessanti. Tale scrematura ha irrimediabilmente aumentato le aspettative nei rapporti dei pochi rimasti. Ciò mi ha reso possessivo e intransigente e ha peggiorato le mie relazioni.
Nella mia vita priva di un partner, prima dell’affetto e del sostengo dei miei genitori, gli amici, quelli che puoi contare sulle dita di una mano diventano dei punti di riferimento ineguagliabili.
Le aspettative elevate e l’esigenza di passare del tempo di qualità inquinano i rapporti. Si perde la spontaneità, il divertimento, la leggerezza e affiora l’ansia per la paura della perdita che può essere fatale in una realtà come la mia in cui latitano presenze importanti.
Non sono un buon amico, non riesco a godere dei successi personali altrui perché ciò mi costringe a fare i conti con i miei traguardi e mi deprimo a pensare alle costellazioni di fallimenti della mia vita. Mentre passo del tempo con gli “amici di sempre” mi capita di ammutolirmi quando si parla di tappe importanti della vita, di lavoro, di progetti futuri.
Io sono impantanato nella mia condizione di inetto e mediocre. Incapace di portare a termine un percorso. Bloccato dalle difficoltà che insinuano dubbi sulle mie capacità.
Credo di avere dei contenuti, qualcosa da raccontare ma per evitare errori o per evitare di dire qualcosa non interessante per gli altri, intervengo solo se interpellato.
Penso a: come sia riuscito a complicare i miei rapporti e in quale momento abbia avvertito questo senso atroce di inferiorità, quando ho percepito le distanze e quando mi sono isolato per la prima volta dagli altri.
E’ triste pensare al tempo perso nel dolore quando sarebbe bastato bloccare queste dannate elucubrazioni mentali e semplicemente vivere.
Adesso però sono solo, col tentativo di ricostruire una nuova immagine.

Il triste volto dell’evidenza

Ogni giorno vanifico il tentativo di dare forma alla mia vita.
Mi inerpico per le ripide scale senza fine della mia mente. Mi adopero ogni giorno come un matto per riempire ogni vuoto. Cerco di ottenere la massima produttività. Cerco di compiere attività utili alla mia crescita. Provo a diventare un uomo migliore o almeno un uomo con tutte le responsabilità e progettualità che lo differiscono dal ragazzino. E’ incredibile come puntualmente tutto quello che faccio sia destinato a fallire e che debba ogni volta ricominciare da capo.
In tutta questa fragilità, c’è l’unica salda certezza della passione per il cibo.
Un amore che non è nato per naturale attrazione ma per compensazione della miseria che mi circonda.
Il cibo è una costante. C’è sempre. Non ti abbandona, non ti giudica…
Noi scandiamo gli elementi della giornata tenendo conto della distribuzione dei nostri pasti. Aspettiamo la domenica per stare insieme alla famiglia mangiando i piatti preparati dalla nonna. Quando usciamo mangiamo, o usciamo per mangiare…
Il cibo è fondamentale. Per alcuni è un aspetto della vita come tanti altri, per i più insensibili il cibo è solo uno strumento di sostentamento, per noi peccatori di gola il cibo è sicurezza, consolazione, sapore della vita…
Si arriva all’esaltazione del cibo, quasi all’idolatria. Il cibo è intoccabile. E’ un dio pagano che offre la soluzione a tutti i problemi in cambio dell’aumento di peso, della perdita di forma fisica, patologie cardiache ecce cc…
Nonostante sia consapevole del male procurato dai miei pasti pantagruelici; quelli come me, non riescono a trovare sufficienti motivazioni per arrestarsi.
Provo una grande soddisfazione che è difficilmente raggiungibile in altri campi.
Ma il cibo non è clemente; è un compagno che in cambio di un piacere rapido ed effimero, prende il possesso della tua mente, stregandola e obbligandola alla totale dipendenza. E quando meno te lo aspetti ti senti più voluminoso, più lento e la semplice azione dell’allacciarsi le scarpe diventa un’erculea impresa.
E’ incredibile come riesca il cibo a ottenebrare la mente a quelli come me che hanno trovato nel cibo una esaustiva valvola di sfogo.
Ho notato, da qualche giorno che ho iniziato a punzecchiare la mia maglietta…
La maglietta si ripiega sotto il grasso, si appiccica, mi fa caldo, divento sudaticcio e allora devo sistemarla, ed è fondamentale questo punzecchiamento.
E’ una narrazione orribile e vergognosa però, immagino che tutti gli over-size sappiano di cosa sto parlando. E’ avvilente.
Arrivare a questo punto significa essere entrati in una condizione patologica nella quale lo scellerato rapporto con il cibo evidenzia l’assenza di esperienze e relazioni fondamentali per la vita di un uomo.
Molti potrebbero pensare che io sia una persona lagnosa, pigra e arrendevole ma vi assicuro che da parte mia c’è sempre stato il tentativo di cambiare qualcosa adottando la migliore dieta del momento.
Nonostante abbia ricevuto dei discreti risultati nel breve periodo, quando terminavo recuperavo repentinamente peso, diventando molto più famelico.
Per esperienza ho compreso che questa storia non sarà mai alla battute conclusive finché non avrò coraggio di affrontare delle tematiche delicate come la mia sessualità.
Per adesso riconosco di avere un problema che tenderà a peggiorare.
Prometto a me stesso di limitarmi ma so già che renderò tutto vano finché non sarò onesto con me stesso e gli altri.

La liberazione

Scrivo un po’ a caso. Inizio con un argomento, poi sospendo e ne incomincio un altro.
Questo capitolo della mia vita si riferisce all’estate dell’anno scorso.

Era domenica. Passavo il tempo a casa senza fare nulla di particolare.
Da giorni pensavo costantemente a quell’associazione lgbti consigliata da un amico. Quante volte mi ero imbattuto nella loro pagina Facebook, a leggere i loro post, e osservare i loro eventi, senza riuscire mai a fare nulla. Nessun like, nessun intervento. Ero un fantasma che fluttuava su di loro attento a ogni particolare o una sorta di stalker che bramava di avere una intima relazione con l’associazione…
Fatto sta che non avrei potuto palesarmi pubblicamente mettendo un “mi piace” all’associazione perché altrimenti avrei attirato l’attenzione dei miei “amici” di Facebook che avrebbero finalmente avuto l’ultimo pezzo di puzzle per confermare i loro dubbi sul mio orientamento: argomento di notevole interesse per molti miei conoscenti. Sono rimasto in questo limbo per circa un anno. Da quando mi avevano parlato di questa associazione sapevo che sarebbe stata utile per la mia emancipazione, per la mia apertura.
Tutto sarebbe dovuto partire da lì. La mia nuova vita sarebbe dovuta iniziare una volta che fossi riuscito a instaurare un contatto. Così immaginavo come sarebbero andate le cose e al tempo stesso credevo che questo episodio avrebbe avuto solo un valore onirico e che per definizione sarebbe rimasto come tale nelle mia testa senza mai concretizzarsi.
In quella domenica insensata di mattina tra un caffè e una tisana decisi di sparare finalmente la mia cartuccia. Veloce e indolore. Così doveva essere. Avevo mandato un messaggio all’associazione, una breve presentazione con una richiesta di aiuto…io stesso non ci credevo…ero turbato, spaventato…immaginavo i tipi dell’associazione che pensavano di sto sfigato che per 32 anni aveva represso la sua vera natura…Ero molto preoccupato…Dopo 1 secondo mi ero già pentito…
Che cavolo avevo fatto ?!?

Non potevo stare un altro giorno tranquillo nella mia comfort zone ?!?
Intanto erano passati alcuni giorni e nessuno mi rispondeva. Provavo sempre più imbarazzo. Un giorno però mi arrivò una notifica su Facebook. Oh cazzo!!!!!!!!!
E ora???? Mi avevano risposto…Era un ragazzo, un componente dell’associazione che mi aveva scritto mostrandomi una certa solidarietà. Abbiamo iniziato a scriverci e poi abbiamo fissato un appuntamento presso la loro sede.
Il giorno prima purtroppo il ragazzo aveva avuto la febbre e lui mi mise in contatto con un altro del direttivo. Il giorno dell’appuntamento ero molto emozionato. Non sapevo cosa dire e chi mi sarei trovato di fronte. Avevo paura. Come sempre la mente di fronte alle novità ci crea dei cattivi scherzi. Ho fatto la conoscenza di questo ragazzo e siamo stati a parlare di me e dell’associazione con grande pace e rispetto.
Può sembrare banale scriverlo ma mi sentivo a casa. Ero stato onesto e non sentivo per la prima volta la paura che il mio interlocutore mi stesse giudicando. Ero protetto. Dopo una bella chiacchierata io me ne sono andato perché di lì a poco ci sarebbe stata la riunione ufficiale dell’associazione. Quel giorno mi sono sentito fiero di me stesso…
La settimana successiva mi sono recato all’associazione per partecipare alla mia prima riunione che corrispondeva all’ultima per l’associazione prima della pausa estiva. Le mie paure erano ancora più forti, avevo il timore che sarei rimasto attaccato al mio noto interlocutore che avrebbe dovuto farmi da chioccia.
Invece no, nuovamente mi sentivo completamente a mio agio. Uno stato di benessere mai sentito in vita mia, o almeno mai percepito in maniera così prolungata. Quanto sono stato sciocco!!! Quanto tempo ho perso…Se solo avessi dato ascolto al mio cuore avrei impedito che i miei dolori prendessero su di me il sopravvento. Man mano che arrivava gente mi presentavo. Parlottavo con chi capitava. Non mi era mai capitato di essere così eloquente tra sconosciuti. La chiave era sempre quella: NON AVEVO PAURA DEL GIUDIZIO DEGLI ALTRI.
Chiunque si poneva empaticamente. Sapevo che quello che dicevo era stato provato in qualche modo da un po’ tutti. Feci la mia testimonianza davanti a una 30ina di persone che a parte il mio interlocutore non conoscevo. Ero stato molto onesto. Avevo raccontato il mio dramma e dell’esigenza di ricevere guida e consigli dall’associazione…Intanto quando ho sentito parlare gli altri…giovani che avevano vissuto l’adolescenza lottando per i propri diritti e vivendo la malvagità dei bulli, allora mi sono sentito una cacca. Loro avevano deciso di esprimersi liberamente e io mi ero nascosto sotto terra. Avevo imparato tanto quella sera.
L’associazione sembrava il giusto trampolino di lancio…
Io ero pronto a seguire con la mano aperta e protesa come un bimbo alla ricerca della mani grandi e rassicuranti di un padre…

Comunicazione inefficace

Per capirci meglio: credo che sia capitato a chiunque di perdere l’attimo giusto per poter pronunciare quella espressione, quel modo di dire o semplicemente quella parola in circostanze particolarmente emozionanti, in momenti concitati o magari mentre si discute, che solo in un secondo momento, a mente fredda, si materializza nei nostri pensieri ?!?…Ecco!…A me succede spesso e con frequenze sempre maggiori…
Mi accorgo che la mia comunicazione non è efficace e di non utilizzare quasi mai durante una conversazione le parole più pertinenti e di sentirmi quindi uno stupido incapace di esprimersi adeguatamente.
In qualsiasi ambito: lavoro, famiglia, amicizie, contesti formali…provo a parlare più lentamente possibile per dare il tempo alla mia mente di ricercare “la parola giusta” in una immaginaria immensa sala strapiena di pile di dizionari impolverati che ripetono nelle pagine sempre gli stessi lemmi. Così descrivo la mia attività di ricerca mentre parlo ed è quindi facilmente presumibile come questa tortura mi impedisca di esporre serenamente le mie opinioni, i miei pensieri e preferisca il silenzio e l’ascolto degli altri.
Nel tempo ho capito che la scrittura rappresenta il miglior strumento di comunicazione che mi permette di esprimere le mie opinioni. Il suono delle mie parole, della mia voce non mi appartengono. Riguardano una persona inetta, flemmatica e noiosa. Invece io penso velocemente usando una voce che riconosco mia e che non si traduce mai in un suono emesso. Risuona confinata nella mia testa.
Rifiuto i social più moderni che ci costringono a comunicare dal vivo in tempi ristretti provando ad essere il più possibile efficaci. Si tralascia il contenuto, la comprensibilità e si pensa esclusivamente alla migliore strategia di marketing da applicare per aumentare il numero dei propri seguaci. Siamo diventati dei frenetici venditori di fuffa. Non siamo quello che diciamo, ma come lo diciamo…
Questo mondo, indipendentemente dalla mia palese inadeguatezza comunicativa, non mi attira. Rimango sempre affascinato dagli oratori dal linguaggio fluente e forbito che lanciano tanti spunti di riflessione per menti che non sono più avvezze al ragionamento.
Mi sento anche a disagio quando utilizzo applicazioni di messaggistica istantanea. Spesso mentre scrivo mi blocco, poi trovo un errore, cancello, poi cambio altre parole e dopo finalmente clicco su invio… Praticamente questo supplizio costituito da cancellazioni, riprese, re-inizi riguardano anche le registrazioni vocali che sono soggette a una mia revisione più accurata.
In pratica con me perde valore la definizione stessa dello strumento.
Mi chiedo spesso come facciano gli altri (non tutti) che possiedono una certa proprietà di linguaggio, che danno voce ai loro pensieri e di conseguenza fanno la differenza. Io e quelli come me siamo solo destinati a seguire come dei fedeli cagnolini le opere degli altri, fantasticando di poter essere noi un giorno.
Spesso mi sono domandato quali potessero essere le cause del mio problema ipotizzando che dipendessero dalla mia insicurezza che condiziona la mia intera vita.
Insicurezza generata dalla prepotenza e indifferenza che hanno segnato la mia giovinezza.
Per adesso scrivo ma sogno un giorno di fare un discorso bello e sincero su un pulpito con tante persone all’ascolto senza provare nessun tipo di paura.

Imbalsamato…le scelte degli altri…

Praticamente mi accorgo per l’ennesima volta di essermi arenato. Sono bloccato, non riesco più ad andare avanti e nemmeno indietro. Posso solo sparire per tele-trasportarmi altrove. Perché quando abbandono un percorso ne inizio un altro. Quando incomincio qualcosa nutro la speranza che ciò possa essere una via di fuga che mi porti lontano dalla mia prigione. Ma sistematicamente qualcosa non funziona.
Ho alimentato il dubbio che le mie “scelte” in fin dei conti fossero indotte da qualcuno, qualcosa e mai pienamente consapevoli. Per questo motivo, forse, dopo l’entusiasmo iniziale legato alla novità succedeva che il mio interesse, il mio impegno si affievolisse e prendesse il sopravvento la pigrizia e poi la depressione…e sentissi l’esigenza di essere accompagnato perché tutto quello che faccio da solo non riesco a portarlo a compimento. Non ho la forza. Non ho la capacità. Così la vedo e perciò dopo un po’ di tempo lascio tutto e metto da parte.
Quando invece iniziavo un percorso insieme ad un’altra persona riuscivo a terminarlo perché mi sentivo sicuro e protetto.
Quello che sono oggi è il risultato delle scelte di altri che hanno deciso per me o mi hanno accompagnato al raggiungimento di un obiettivo. Gli altri possiedono il carattere giusto per affrontare la vita, io invece la vita l’ho sempre scansata, concentrandomi soltanto sul tentativo di sopravvivere. Sono il frutto del flusso degli eventi che si susseguono senza controllo.
Non ho mai scelto nulla nella mia vita. Sono sempre stato “portato” dal destino come un cane tenuto al guinzaglio dal proprio padrone. Sono figlio del contesto in cui ho vissuto. E’ come se seguissi un percorso generico prestabilito da quando sono nato per tutti quelli che nascono qui. Non c’è nulla di mio, delle mie passioni, non ci sono “diritti d’autore”.
Già prima che io nascessi, uno avrebbe potuto facilmente prevedere la vita, secondo gli schemi, del ragazzo che sarei stato. Ho fatto tutto secondo convenzione sia perché il convenzionale ti rassicura sia perché non avevo nulla di originale da dire e nessuno che mi spronasse a comunicare.
Mi ripetevo continuamente qualcosa che inconsciamente ho sempre saputo: “Non ho mai scelto”

Progressi difficili (o impossibili)…

Qualche mese fa scrivevo…

I progressi si sono bloccati…in ogni ambito!
Quando ho problemi a lavoro sono travolto da un vortice che mi sbatte da destra sinistra rendendomi incapace di poter amministrare il flusso regolare della mia vita.
Ho messo da parte studio, letture, scrittura, sport…in poche parole ho messo da parte la mia persona per lasciare spazio totalmente ai miei impegni lavorativi.
L’ansia del lavoro accumulato, lo stress mentale dei problemi quotidiani mi impediscono di affrontare i miei irrisolti.
Si ripresenta il timore che tutto quello che ho iniziato possa andare a puttane.
La solita paura dell’inconcludente, dell’inetto.
Inizio qualsiasi cosa sempre particolarmente stimolato, pieno di energia…e poi al primo problema abbandono tutto perché credo di non potercela fare, perché il mio tempo è impegnato altrove e diventa impossibile dedicarmi ad altro.
La mia vita è come un castello di sabbia sulla riva che viene spazzato via dalla prima onda del mare…e bisogna ricostruirlo tutto di nuovo per l’ennesima volta. Quanti castelli costruiti a metà ho realizzato e distrutto. Mai uno terminato e consolidato, mai!
Questa condizione mi pesa. Sembra senza via d’uscita. Quando sono ottimista credo che durante il giorno porterò a compimento qualcosa e poi avrò le forze mentali e la sicurezza di riuscire a raggiungere altri risultati…Quando sono pessimista invece credo che sia impossibile cambiare la mia esistenza e mi resta semplicemente accettare la mia condizione.
A volte per giustificare la mia inettitudine mi convinco che non tutti sulla Terra siano destinati ad evolversi. Ci sono tante persone che magari sono limitate e che vorrebbero cambiare ma per proprie incapacità e per la proprio indole non ci riescono e quindi devono accettarsi e andare avanti. E anche io immagino che il mio destino sia quello di vivere nella mediocrità. Rispetto agli altri mi sento tanti passi indietro. L’ansia mi assale quando converso in un gruppo di persone; magari provo a sostenere la mia opinione e ho l’impressione che la sostanza dei miei contenuti sia impalpabile perché il mio linguaggio non è per niente efficace, incisivo e mentre parlo mi concentro di più sul linguaggio che sulla sostanza, risultando impreciso in entrambi gli aspetti.
La scrittura che ho scoperto da un anno invece è un ottimo strumento di comunicazione che mi permette di esprimere al meglio un concetto senza dover essere immediati e istintivi come succede durante una conversazione.
La scrittura è l’arma sicura per tutti i timorosi, i timidi che così possono comunicare un messaggio completo e profondo usufruendo di tutto il tempo a loro disposizione.
(Non a caso preferisco scrivere nelle conversazioni attraverso strumenti di messaggistica piuttosto che inviare registrazioni vocali).
Il fatto più grave nell’ultimo periodo è che ho abbandonato da un momento all’altro, senza dare spiegazioni a nessuno gli incontri del mercoledì con quella associazione che si occupa di diritti LGBT. Mi sentivo inadeguato, inopportuno. Ho ritenuto che loro fossero un livello troppo avanzato rispetto al mio. Loro sono emancipati. Hanno vissuto il periodo della consapevolezza, dell’accettazione, della dichiarazione al mondo e si sono mostrati fieramente per quelli che sono realmente al mondo intero senza preoccuparsi delle critiche. Si trovano attualmente nella fase in cui ritengono che la loro esperienza possa essere utile agli altri e fanno associazionismo. Quando presenziavo a queste riunioni, tranne la prima in cui mi sono presentato, sono sempre rimasto in silenzio perché mi sentivo incapace di poter apportare un qualsiasi tipo di contributo alle loro battaglie sociali. Scrivo “loro battaglie” perché anche se lavorano anche per facilitare la mia di vita, per il livello di coscienza della mia omosessualità non sento ancora mie. In confronto a loro io vivo in uno stato post-embrionale. Sono quindi un neonato che ha bisogno di essere guidato in questo nuovo mondo da persone esperte e fidate. Ho bisogno di capire come riuscire a gestire nella società questo fardello.
Ho bisogno per adesso di pensare solo a me stesso, di combattere la mia battaglia di emancipazione e di riconoscimento nel mondo…tutto il resto risulta essere una perdita di tempo…